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LA PREGHIERA


Cristo ha infaticabilmente predicato necessità della preghiera, come è stato, nel suo breve cammino terrestre, il più potente, il più ostinato, il più suggestivo, il più sublime orante della storia.
Anche prima di lasciare il Cenacolo avviarsi al Getsemani e al Calvario, ammonisce di nuovo gli Apostoli: «Qualunque cosa chiederete al Padre in mio nome, Egli ve la concederà» .
Chi legge il Vangelo, chi lo riprende in mano sovente con un impegno non effimero, chi lo medita in un silenzio non superficiale, chi si sforza di farne scendere l'insegnamento fino al cuore, assimilandolo nel sangue e incarnandolo nella vita, è colpito dalla tenace insistenza del Signore e si avvia, come Lui, ad amare il silenzio, il ritiro se anche parziale e momentaneo dal mondo, gli indugi dolci e profondi, gli indugi pacifici ed adoranti delle ore silenziose, la riflessione e la meditazione, la preghiera tranquilla, la preghiera paziente e ostinata, la preghiera della fede che non alza il velo, che non scopre il mistero dell'abisso di Dio, ma ne fa intrasentire la voce nelle segrete pieghe dell' essere, ne rende in qualche modo presente il volto nell' amore, nel dolore, nell'attesa, nell'angoscia, nella speranza cioè, in tutte le esperienze non inani del1'uomo che umilmente ha posto i suoi passi, a giocoforza incerti, nel sentiero così lungo e difficile della ricerca di Dio.
La preghiera, questa preghiera, è necessaria.
Se Dio esiste, solo il
dialogo con Lui ce ne può consentire in qualche modo la conoscenza.
Anche tra uomini, tra uguali, tra fratelli, noi ci conosciamo nella misura della cordialità, dell'amore, del coraggio, della generosità, della costanza, dell' apertura del nostro dialogo.
Il prossimo cessa di essere qualcuno per noi, quando interrompiamo la confidenza, quando compromettiamo l'apertura, quando spegniamo la sincerità delle nostre parole.
Questa legge così elementare e fondamentale della convivenza fraterna, investe anzitutto il nostro rapporto con Dio. Solo chi parla a Dio, chi si sforza di stabilire nel mistero un dialogo con Lui, riceve un giorno, riceve ad un tratto la sorpresa, ottiene il miracolo della risposta di Dio.
Dio non è sordo. «Chi ha plasmato l'orecchio, non sente?» Dio non è cieco. «Chi ha dipinto l'occhio, non vede?»
Dio vuole provare la fede dei suoi figli. Egli che ha creato l'universo, sottoponendolo alla legge della lenta evoluzione dei millenni: Dio che ha creato l'uomo, imponendogli la fatica graduale, il compito suggestivo ma incredibilmente lento della conquista del cosmo: Dio, il super-pedagogo, l'educatore dalle finezze sovrane, non ama le cose facili, come non suggerisce mai alla sua creatura prediletta, poetici agevoli sentieri.
Dio vuole essere avvicinato sempre, avvicinato a lungo: Dio vuole essere interpellato con fatica: Dio vuole essere pregato senza posa dall'uomo.
Dio è infinitamente buono e ci darà superiormente a tutte le nostre richieste, a tutte le nostre più cocenti attese.
Ma vuole essere pregato nel silenzio, pregato a lungo, pregato con amore.
Il mondo religioso pare abbia peno l' abitudine e il gusto delle lunghe preghiere silenziose, come la società moderna ha perso quasi totalmente il senso di Dio, cioè, della sua presenza nella storia e, soprattutto, nel cuore degli uomini.
Né bastano, per sperimentare il divino, le preghiere comunitarie. Non bastano le sole preghiere liturgiche. Non basta la preghiera santissima della Messa.
Prima della Cena, Cristo aveva trascorso lunghe notti di preghiera nel Getsemani, come lungamente ha pregato ed agonizzato dopo di averci donato nel Cenacolo l'eucaristia e il sacerdozio.
Anche nel mondo ecclesiastico pochi ricordano oggi la parola di S. Alfonso nella mirabile prefazione allo “Homo Apostolicus”: “Omnia alia pietatis exercitia possunt coexistere cum peccato mortali: meditatio autem et peccatum mortale non possunt coexistere”.
Dio ci domanda, cioè, di fare silenzio di appartarci, di umiliarci, di pentirci, di purificare il cuore.
Per questo, la preghiera più bella, feconda, più commovente, più intensa, più duratura nei suoi effetti, anche se talora dolorosa ed angosciata, è la preghiera notturna.
Quando tutto tace, quando siamo e ci sentiamo soli, così soli, così distaccati e puri, che tutto il mondo è spiritualmente con noi, il mondo dei vivi superbi e distratti, il mondo dei morti,
dei nostri poveri dimenticati morti, allora il nostro occhio interiore si posa su ciascuno di quelli che amiamo e per i quali soffriamo, e le nostre pene e sofferenze, le nostre delusioni ci appaiono come la mirabile testimonianza della presenza nella nostra vita del Dio Vivente e l'esperienza del vero, dell'unico amore.
Per questo l'ebreo biblico cantava: «Mi levavo nel cuore della notte per parlare con Te, mio Dio!»
Per questo, i primi cristiani prediligevano la preghiera in comune e la preghiera solitaria nel silenzio notturno.
Per questo, l'anima assetata di Dio che, come Merton, ha lasciato il mondo per il chiostro, si scuote dal sonno nelle ore antelucane per correre, come Dante cantava, a mattinar lo Sposo. Per questo, il Cardinale Ildefonso Schuster, Arcivescovo di Milano, si levava ogni mattina alle tre, quando la sua città era tutta immersa nel sonno, e dava a Dio le più intense ore di preghiera nel silenzio della notte.
Per questo, nei paesi islamici, il muezzim si leva di gran mattino per invitare dall' alto del minareto il credente all'adorazione, alla lode, alla preghiera.
Mi ha profondamente colpito la pagina di un nostro concittadino venuto dal Medio Oriente: «O voce lamentosa e piena di angoscia che scendi dal minareto in ore di riposo e di silenzio, tu hai il coraggio, in un'epoca così spregiudicata, di proclamare, quasi con accenti di violenza, i diritti di Dio... E incidi nell'anima umana il senso del dovere e della disciplina. Tu sei anche per noi una voce di rimprovero, per noi che amiamo svolgere la trama della nostra esistenza indipendentemente da Dio. Io ho riconosciuto nella voce del minareto una affermazione di fede in Dio e una aspirazione verso il soprannaturale ignoto. E l’ho sentito nella coscienza come una necessità. I minareti permangono per noi come il segno di un vigore e di una volontà consapevole di ciò che vale e di ciò che conta nella vita».
Tutti abbiamo, come ho io sovente, nella mia condizione di umile prete, quasi il senso della inutilità della nostra vita, di fronte al bene che una divorante ansia segreta ci porterebbe a voler fare e che, invece, non ci riesce di condurre a compimento mai, di fronte a tutti i dolori tutti i deliri degli uomini e alle sofferenze della vita: la fame in così vaste zone della terra, le guerre fratricide che bagnano di sangue tante e così provate regioni del mondo: l'immoralità che avanza come una fetida marea di fango, coinvolgendo i fanciulli e gli adolescenti - proprio quelli che nel bel tempo andato usavamo chiamare col nome di anime innocenti- , nel vortice di una malizia che ha del demoniaco.
Se siamo sensibili ai dolori della terra, a tutto il dolore e al pianto di tanti nostri fratelli, se ci doliamo di non poter fare che troppo poco per il nostro prossimo bisognoso e sofferente, chiediamo alla bontà infnita di Dio di non lasciarci del tutto ignari di quella esperienza interiore che è il silenzio colmo della grazia di Cristo e della presenza divina nella preghiera ostinata e solitaria, nella preghiera umile, nella preghiera delle silenziose ore diurne e delle più suggestive ore notturne, nella preghiera non solo del labbro, ma del cuore, la preghiera di tutto l'essere, di tutta la vita.
Vorrei poter dare ancora, come ho sempre dato, ma darlo con una incidenza nuova e diversa, con una efficacia infallibile; vorrei comunicare
questo dono a quelli che soffrono, a quelli che ancora non hanno saputo dare un significato alla loro vita, a quelli il cui dolore è tanto grande, che non hanno più nulla da sperare nella vita: poiché, per sentire Dio, per averLo aiuto, conforto, amico, padre di amore e di misericordia, è necessario pregarLo nel silenzio. E assicurare tutti quelli che mi ascoltano, tutti coloro ai quali è aperto nell'amore il mio cuore, che da tempo ho scoperto con gioia il modo meno appariscente, ma certamente più utile e salutare, più sicuro e fecondo, di fare loro del bene: la preghiera dell'amore e del dolore elevata a Dio con perseveranza, anzi con ostinazione, nel silenzio e nel nascondimento: “de profundis”, dal profondo, dal mistero e dall'abisso del cuore.