VIA CRUCIS AL COLOSSEO DEL VENERDI SANTO 2007
MEDITAZIONI DI S.E.R. MONS. RAVASI

PRIMA STAZIONE - Gesù nell'orto degli ulivi

V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Dal Vangelo secondo Luca. 22, 39-46
Gesù se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».

MEDITAZIONE
Quando scende su Gerusalemme il velo dell’oscurità, gli ulivi del Getsemani ancor oggi sembrano ricondurci, con lo stormire delle loro foglie, a quella notte di sofferenza e di preghiera vissuta da Gesù . Egli si staglia solitario, al centro della scena, inginocchiato sulle zolle di quell’orto. Come ogni persona quando è in faccia alla morte, anche Cristo è attanagliato dall’angoscia: anzi, la parola originaria che l’evangelista Luca usa è «agonia», cioè lotta. La preghiera di Gesù è, allora, drammatica, è tesa come in un combattimento, e il sudore striato di sangue che cola sul suo volto è segno di un tormento aspro e duro.

Il grido è lanciato verso l’alto, verso quel Padre che sembra misterioso e muto: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice», il calice del dolore e della morte. Anche uno dei grandi padri di Israele, Giacobbe, in una notte cupa, alle sponde di un affluente del Giordano, aveva incontrato Dio come una persona misteriosa che «aveva lottato con lui fino allo spuntare dell’aurora».(2) Pregare nel tempo della prova è un’esperienza che sconvolge il corpo e l’anima e anche Gesù, nelle tenebre di quella sera, «offre preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che può liberarlo dalla morte».(3)

Nel Cristo del Getsemani, in lotta con l’angoscia, ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del dolore lacerante, della solitudine degli amici, del silenzio di Dio. E' per questo che Gesù — come è stato detto—«sarà in agonia sino alla fine del mondo: non bisogna dormire fino a quel momento perché egli cerca compagnia e conforto»,(4) come ogni sofferente della terra. In lui noi scopriamo anche il nostro volto, quando è rigato dalle lacrime ed è segnato dalla desolazione.

Ma la lotta di Gesù non approda alla tentazione della resa disperata, bensì alla professione di fiducia nel Padre e nel suo misterioso disegno. Sono le parole del «Padre nostro» che egli ripropone in quell’ora amara: «Pregate per non entrare in tentazione... Non sia fatta la mia, ma la tua volontà!». Ed ecco, allora, apparire l’angelo della consolazione, del sostegno e del conforto che aiuta Gesù e noi a continuare sino alla fine il nostro cammino.

Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Stabat mater dolorosa,
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius.

(2) Cf. Genesi 32, 23-32.
(3) Cf. Ebrei 5, 7.
(4) Blaise Pascal, Pensieri, n. 553 ed. Brunschvicg


SECONDA STAZIONE - Gesù, tradito da Giuda, è arrestato
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 47-53
Mentre Gesù ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a lui per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l’orecchio, lo guarì . Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre».
MEDITAZIONE
Tra gli ulivi del Getsemani, immersi nella tenebra, s’avanza ora una piccola folla: a guidarla è Giuda «uno dei Dodici», un discepolo di Gesù. Nel racconto di Luca egli non pronuncia neppure una parola, è solo una presenza gelida. Sembra quasi che non riesca del tutto ad accostarsi al viso di Gesù per baciarlo, fermato dall’unica voce che risuona, quella di Cristo: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Sono parole dolenti ma ferme che svelano il groviglio maligno che si annida nel cuore agitato e indurito del discepolo, forse illuso e deluso e tra poco disperato.
Quel tradimento e quel bacio sono diventati nei secoli il simbolo di tutte le infedeltà, di tutte le apostasie, di tutti gli inganni. Cristo, dunque, incontra un’altra prova, quella del tradimento che genera abbandono e isolamento. Non è la solitudine a lui cara, quando si ritirava sui monti a pregare, non è la solitudine interiore sorgente di pace e di quiete perché con essa ci si affaccia sul mistero dell’anima e di Dio. E', invece, l’esperienza aspra di tante persone che anche in quest’ora che ci vede riuniti, come in altri momenti del giorno, sono sole in una stanza, davanti a una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché vecchi, malati, stranieri o estranei. Gesù beve con loro anche questo calice che contiene il veleno dell’abbandono, della solitudine, dell’ostilità.
La scena del Getsemani si è, quindi, animata: al precedente quadro solenne, intimo e silenzioso della preghiera, si oppone ora, sotto gli ulivi, il frastuono, il tumulto e persino la violenza. Gesù si erge, però, sempre al centro come un punto fermo. Egli è consapevole che il male avvolge la storia umana col suo sudario di prepotenza, di aggressione, di brutalità: «Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre».
Cristo non vuole che i discepoli, pronti a metter mano alla spada, reagiscano al male col male, alla violenza con altra violenza. Egli è certo che il potere delle tenebre — apparentemente invincibile e mai sazio di trionfi — è destinato a essere piegato. Alla notte, infatti, succederà l’alba, all’oscurità la luce, al tradimento il pentimento, anche per Giuda. E' per questo che, nonostante tutto, bisogna continuare a sperare e ad amare. Come lo stesso Gesù aveva insegnato sul monte delle Beatitudini, per avere un mondo nuovo e diverso, è necessario «amare i nostri nemici e pregare per quelli che ci perseguitano».(5)
(5) Matteo 5, 44.

TERZA STAZIONE - Gesù è condannato dal Sinedrio
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 66-71
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».
MEDITAZIONE
Il sole del venerdì santo si sta affacciando dietro il monte degli Ulivi, dopo aver rischiarato le valli del deserto di Giuda. I settantuno membri del Sinedrio, la massima istituzione ebraica, sono riuniti a semicerchio attorno a Gesù. Si sta per aprire l’udienza che comprende la consueta procedura delle assisi giudiziarie: il controllo dell’identità, i capi di imputazione, le testimonianze. Il giudizio è di natura religiosa secondo le competenze di quel tribunale, come appare anche nelle due domande capitali: «Sei tu il Cristo?... Sei tu il Figlio di Dio?».
La risposta di Gesù parte da una premessa quasi scoraggiata: «Anche se lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete». Egli sa, dunque, che in agguato c’è l’incomprensione, il sospetto, l’equivoco. Egli sente attorno a sé una fredda cortina di diffidenza e di ostilità, ancor più opprimente perché essa è eretta contro di lui dalla sua stessa comunità religiosa e nazionale. Già il Salmista aveva provato questa delusione: «Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa».(6)
Eppure, nonostante quell’incomprensione, Gesù non esita a proclamare il mistero che è in lui e che da quel momento sta per essere svelato come in un’epifania. Ricorrendo al linguaggio delle Scritture Sacre, egli si presenta come «il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio». E' la gloria messianica, attesa da Israele, che ora si manifesta in questo condannato. Anzi, è il Figlio di Dio che paradossalmente si presenta rivestito ora delle spoglie di un imputato. La risposta di Gesù — «Io lo sono» —, a prima vista simile alla confessione di un condannato, diventa in realtà una professione solenne di divinità. Per la Bibbia, infatti, «Io sono» è il nome e l’appellativo di Dio stesso.(7) - L’imputazione, che produrrà una sentenza di morte, diventa così una rivelazione e diviene anche la nostra professione di fede nel Cristo, Figlio di Dio. Quell’imputato, umiliato dalla corte impettita, dall’aula sontuosa, da un giudizio ormai siglato, ricorda a tutti il dovere della testimonianza alla verità. Una testimonianza da far risuonare anche quando forte è la tentazione di celarsi, di rassegnarsi, di lasciarsi condurre alla deriva dall’opinione dominante. Come dichiarava una giovane donna ebrea destinata ad essere uccisa in un lager,(8)«a ogni nuovo orrore o crimine dobbiamo opporre un nuovo frammento di verità e di bontà che abbiamo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere ».
(6) Salmo 55 (54), 13-15.
(7) Cf. Esodo 3, 14.
(8) Etty Hillesum, Diario 1941-1943 (3 luglio 1943)

QUARTA STAZIONE - Gesù è rinnegato da Pietro
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 54-62
Dopo averlo preso, condussero via Gesù e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente.
MEDITAZIONE
Ritorniamo di nuovo nella notte che avevamo lasciato alle spalle entrando nell’aula del primo processo subito da Gesù. L’oscurità e il freddo sono squarciati dalle fiamme di un braciere collocato nel cortile del palazzo del Sinedrio. Il personale di servizio e di custodia tende le mani verso quel tepore; i visi sono illuminati. Ed ecco levarsi tre voci in successione, tre mani puntarsi verso un volto riconosciuto, quello di Pietro.
La prima è una voce femminile. E' una domestica del palazzo che fissa negli occhi il discepolo ed esclama: «Eri anche tu con Gesù!». Subentra poi una voce maschile: «Sei dei loro!». E' ancora un uomo a ribadire più tardi la stessa accusa, notando l’accento settentrionale di Pietro: «Eri con lui!». A queste denunce, quasi in un crescendo disperato di autodifesa, l’apostolo non esita per tre volte a spergiurare: «Non conosco Gesù! Non sono un suo discepolo! Non so quello che dite!». La luce di quel braciere penetra, dunque, ben oltre il volto di Pietro, svela un’anima meschina, la sua fragilità, l’egoismo, la paura. Eppure poche ore prima egli aveva proclamato: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!... Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò!». (9)
Il sipario, però, non cala su questo tradimento, come invece era accaduto a Giuda. C’è, infatti, in quella notte uno squillo che lacera il silenzio di Gerusalemme ma soprattutto la coscienza di Pietro: è il canto di un gallo. Proprio in quel momento Gesù sta uscendo dall’assise giudiziaria che l’ha condannato. Luca descrive l’incrocio degli sguardi tra Cristo e Pietro e lo fa usando un verbo greco che indica il fissare in profondità un viso. Ma, come nota l’evangelista, non è un uomo qualsiasi che ora guarda l’altro, è «il Signore», i cui occhi scrutano cuore e reni, cioè il segreto intimo di un’anima.
E dagli occhi dell’apostolo scendono le lacrime del pentimento. Nella sua vicenda si condensano tante storie di infedeltà e di conversione, di debolezza e di liberazione. «Ho pianto e ho creduto!»: così, con questi due soli verbi, secoli dopo, un convertito (10) accosterà la sua esperienza a quella di Pietro, dando voce anche a tutti noi che ogni giorno consumiamo piccoli tradimenti, proteggendoci dietro giustificazioni meschine, lasciandoci possedere da paure vili. Ma, come per l’apostolo, anche per noi è aperta la strada dell’incontro con lo sguardo di Cristo che ci affida lo stesso impegno: anche tu, «una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli!».(11)
(9) Marco 14, 29.31.
(10) François-René de Chateaubriand, Il genio del Cristianesimo (1802).
(11) Luca 22, 32.

QUINTA STAZIONE - Gesù è giudicato da Pilato
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 13-25
Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, disse: «Mi avete portato quest’uomo come sobillatore del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.
MEDITAZIONE
Gesù è ora tra le insegne imperiali, i vessilli, le aquile e i labari dell’autorità romana, all’interno di un altro palazzo del potere, quello del governatore Ponzio Pilato, un nome marginale e dimenticato nella storia dell’impero di Roma. Eppure è un nome che risuona ogni domenica in tutto il mondo, proprio a causa di quel processo che ora si sta celebrando: i cristiani, infatti, nel Credo proclamano che Cristo «fu crocifisso sotto Ponzio Pilato». Da un lato, egli incarna a prima vista la brutalità repressiva, tant’è vero che Luca rievoca, in una pagina del suo Vangelo, quel giorno in cui non aveva esitato a mescolare nel tempio il sangue ebreo con quello degli animali sacrificali.(12) A lui si accosta anche un altro potere oscuro e impalpabile: è la forza feroce delle masse, manipolate dalle strategie dei poteri occulti che tramano nell’ombra. Il risultato è nella scelta di graziare un ribelle omicida, Barabba.
D’altro lato, però, affiora un diverso profilo di Pilato: egli sembra rappresentare la tradizionale equità e imparzialità del diritto romano. Per ben tre volte, infatti, Pilato tenta di proporre l’assoluzione di Gesù per insufficienza di prove, comminando al massimo la sanzione disciplinare della flagellazione. L’accusa, infatti, non reggeva a un serio vaglio processuale. Come ribadiscono tutti gli evangelisti, Pilato rivela, quindi, una certa apertura d’animo, una disponibilità che però progressivamente si scolora e si spegne.
Sotto la pressione dell’opinione pubblica Pilato incarna, allora, un atteggiamento che sembra dominare nei nostri giorni, quello dell’indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale. Per quieto vivere e per proprio vantaggio, non si esita a calpestare verità e giustizia. L’immoralità esplicita genera almeno un sussulto o una reazione; questa è, invece, pura amoralità che paralizza la coscienza, estingue il rimorso e ottunde la mente. L’indifferenza è la morte lenta della vera umanità.
L’esito è nella scelta finale di Pilato. Come dicevano gli antichi latini, una giustizia ipocrita e apatica diventa simile a una ragnatela nella quale incappano e muoiono i moscerini ma che gli uccelli squarciano con la forza del loro volo. Gesù, che è uno dei piccoli della terra, senza poter emettere una parola, è soffocato da questa rete. E come spesso facciamo anche noi, Pilato guarda dall’altra parte, se ne lava le mani e come alibi lancia — secondo l’evangelista Giovanni (13) — l’eterna domanda tipica di ogni scetticismo e di ogni relativismo etico: «Che cos’è mai la verità?».
(12) Cf. Luca 13, 1.
(13) Giovanni 18, 38

SESTA STAZIONE - Gesù è flagellato e coronato di spine
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 63-65
Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?». E molti altri insulti dicevano contro di lui.
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 2-3
I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.
MEDITAZIONE
Un giorno, mentre camminava nella valle del Giordano non lontano da Gerico, Gesù s’era fermato e ai Dodici aveva detto parole roventi e ai loro orecchi indecifrabili: «Ecco noi andiamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno.. ».(14) Ora quelle parole sciolgono il loro enigma: nel cortile del pretorio, la sede gerosolimitana del governatore romano, inizia il lugubre rituale della tortura, accompagnato all’esterno del palazzo dal rumoreggiare della folla che attende lo spettacolo del corteo dell’esecuzione capitale.
In quello spazio vietato al pubblico si consuma un gesto che sarà ripetuto nei secoli in mille forme sadiche e perverse, nelle oscurità di tante celle. Gesù non è solo percosso ma è anche umiliato. Anzi, l’evangelista Luca per definire quegli insulti usa il verbo «bestemmiare», svelando in modo allusivo il significato profondo di quello sfogo delle guardie che si accaniscono sulla vittima. Ma allo strazio della carne di Cristo si associa anche uno sfregio alla sua dignità personale attraverso una farsa macabra.
E' l’evangelista Giovanni a rievocare quell’atto sarcastico, ritmato su un gioco popolare, quello del re da burla. Ecco, infatti, una corona i cui raggi sono fatti di rametti spinosi; ecco la porpora regale sostituita da un mantello rosso; ecco il saluto imperiale dell’«Ave, Cesare!». Eppure, in dissolvenza a questa beffa si può intravedere un segno glorioso: sì, Gesù è umiliato come re da scherzo; ma in realtà egli è il vero sovrano della storia.
Quando alla fine si svelerà la sua regalità —come ci ricorda un altro evangelista, Matteo (15) — egli condannerà tutti i torturatori e gli oppressori e introdurrà nella gloria non solo le vittime ma anche tutti coloro che avranno visitato chi era in carcere, curato i feriti e i sofferenti, sostenuto gli affamati, gli assetati e i perseguitati. Ora, però, il volto trasfigurato apparso sul Tabor (16) è sfigurato; colui che è «l’irradiazione della gloria divina» (17) è oscurato e umiliato; come aveva annunziato Isaia, il Servo messianico del Signore ha il dorso solcato dai flagelli, la barba strappata dalle guance, il viso rigato di sputi. (18) In lui, che è il Dio della gloria, è presente anche la nostra umanità dolente; in lui, che è il Signore della storia, si rivela la vulnerabilità delle creature; in lui che è il Creatore del mondo, si condensa il respiro di dolore di tutti gli esseri viventi.
(14) Luca 18, 31-32.
(15) Cf. Matteo 25, 31-46.
(16) Cf. Luca 9, 29.
(17) Ebrei 1, 3.
(18) Cf. Isaia 50, 6.

SETTIMA STAZIONE - Gesù è caricato della Croce
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 20
Dopo averlo schernito, spogliarono Gesù della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
MEDITAZIONE
Nei cortili del palazzo imperiale è finita la festa macabra; cadono le spoglie di quel ridicolo abbigliamento regale, si spalanca il portale. Ecco avanzare Gesù coi suoi vestiti abituali, con la sua tunica «senza cuciture, tessuta d’un pezzo da cima a fondo».(19) Sulle sue spalle poggia la trave orizzontale, destinata ad accogliere le sue braccia, quando essa sarà stata fissata sul palo della crocifissione. La sua è una presenza muta, le sue orme sanguinano su quella strada che ancor oggi a Gerusalemme reca il nome di «Via dolorosa».
Ha ora inizio in senso stretto la Via Crucis, quel percorso che anche stasera si ripete e che tende verso il colle delle esecuzioni capitali, fuori le mura della città santa. Gesù avanza e vacilla sotto quel peso e per la debolezza del suo corpo ferito. La tradizione ha voluto simbolicamente costellare quell’itinerario di tre cadute. In esse si ha la vicenda infinita di tante donne e uomini prostrati nella miseria o nella fame: sono bambini gracili, vecchi sfiniti, poveri debilitati dalle cui vene è stata succhiata ogni energia.
In quelle cadute c’è anche la storia di tutte le persone desolate nell’anima e infelici, ignorate dalla frenesia e dalla distrazione di chi passa accanto. In Cristo piegato sotto la croce c’è l’umanità malata e debole che, come affermava il profeta Isaia,(20) «prostrata parla da terra e dalla polvere salgono fioche le sue parole; sembra di un fantasma la sua voce dalla terra, e dalla polvere la sua parola risuona come un bisbiglio».
Anche oggi, come allora, attorno a Gesù che si alza e avanza reggendo il legno della croce, si svolge la vita quotidiana della strada, segnata dagli affari, dalle vetrine scintillanti, dalla ricerca del piacere. Eppure attorno a lui non c’è solo ostilità o indifferenza. Sui suoi passi si muovono oggi anche coloro che hanno scelto di seguirlo. Essi hanno ascoltato l’appello che un giorno egli aveva lanciato passando tra i campi della Galilea: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (21) «Usciamo, allora, anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui portando il suo obbrobrio».(22) Al termine della Via dolorosa non c’è solo il colle della morte o il baratro del sepolcro ma anche il monte dell’ascensione gloriosa e della luce.
(19) Giovanni 19, 23.
(20) Isaia 29, 4.
(21) Luca 9, 23.
(22) Ebrei 13, 13.

OTTAVA STAZIONE - Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 26
Mentre conducevano via Gesù, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.
MEDITAZIONE
Tornava dalla campagna, forse dopo alcune ore di lavoro. L’attendevano a casa i preparativi del giorno festivo: al tramonto, infatti, si sarebbe aperta la frontiera sacrale del sabato, scandita dall’accendersi delle prime stelle in cielo. Simone era il suo nome; egli era un ebreo oriundo dell’Africa, di Cirene, città che s’affacciava sul litorale libico e che ospitava una folta comunità della Diaspora giudaica.(23) Un ordine secco della pattuglia romana che scorta Gesù lo ferma e lo costringe a reggere per un tratto di strada il patibolo di quel condannato sfinito.
Simone era passato di là per caso; non sapeva che quell’incontro sarebbe stato straordinario. Come è stato scritto,(24) «quanti uomini nei secoli avrebbero voluto essere lì, al suo posto, essere passati di lì giusto in quel momento. Ma ormai era troppo tardi, era lui che era passato ed egli nei secoli non avrebbe mai ceduto il suo posto ad altri». E' il mistero dell’incontro con Dio che attraversa all’improvviso tante vite. Paolo, l’apostolo, era stato intercettato, «afferrato e conquistato» (25) da Cristo sulla via di Damasco. E' per questo che aveva poi ripreso da Isaia quelle sorprendenti parole di Dio: «Io mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a quelli che non si rivolgevano a me».(26)
Dio è in agguato sui sentieri della nostra esistenza quotidiana. E' lui che talora bussa alle nostre porte chiedendo un posto alle nostre mense per cenare con noi.(27) Persino un imprevisto, come quello che aveva incrociato la vita di Simone di Cirene, può diventare un dono di conversione, tant’è vero che l’evangelista Marco citerà i nomi dei figli di quell’uomo divenuti cristiani, Alessandro e Rufo.(28) Il Cireneo è, così, l’emblema del misterioso abbraccio tra la grazia divina e l’opera umana. Alla fine, infatti, l’evangelista lo rappresenta come il discepolo che «porta la croce dietro a Gesù», seguendone le orme.(29)
Il suo gesto, da esecuzione forzata, si trasforma idealmente in un simbolo di tutti gli atti di solidarietà per i sofferenti, gli oppressi e gli affaticati. Il Cireneo rappresenta, così, l’immensa schiera delle persone generose, dei missionari, dei Samaritani che non «passano oltre dall’altra parte» della strada,(30) ma si chinano sui miseri caricandoli su di sé per sostenerli. Sul capo e sulle spalle di Simone, curve sotto il peso della croce, echeggiano, allora, le parole di san Paolo: «Portate i pesi gli uni degli altri perché così adempirete la legge di Cristo».(31)
(23) Cf. Atti 2, 10; 6, 9; 13, 1.
(24) Charles Péguy, Il Mistero della carità di santa Giovanna d’Arco (1910).
(25) Filippesi 3, 12.
(26) Romani 10, 20.
(27) Cf. Apocalisse 3, 20.
(28) Cf. Marco 15, 21.
(29) Cf. Luca 9, 23.
(30) Cf. Luca 10, 30-37.
(31) Galati 6, 2.

NONA STAZIONE - Gesù incontra le donne di Gerusalemme
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 27-31
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
MEDITAZIONE
In quel venerdì di primavera, sulla via che conduceva al Golgota, non si assiepavano solo gli sfaccendati, i curiosi e la gente ostile a Gesù. Ecco, infatti, anche un gruppo di donne, forse appartenenti a una confraternita dedita al conforto e al lamento rituale per i moribondi e i condannati a morte. Cristo, durante la sua vita terrena, superando convenzioni e pregiudizi, si era spesso circondato di donne e aveva dialogato con loro, ascoltando i loro drammi piccoli e grandi: dalla febbre della suocera di Pietro alla tragedia della vedova di Nain, dalla prostituta in lacrime al tormento interiore di Maria di Magdala, dall’affetto di Marta e Maria alle sofferenze della donna colpita da emorragia, dalla giovane figlia di Giairo all’anziana curva, dalla nobildonna Giovanna di Cusa alla vedova indigente e alle figure femminili della folla che lo seguiva.
Attorno a Gesù, fino all’ultima sua ora, si stringe dunque un mondo di madri, di figlie e di sorelle. Accanto a lui noi ora immaginiamo anche tutte le donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le donne in crisi e sole di fronte alla loro maternità, le madri ebree e palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove o le anziane dimenticate dai loro figli... E' una lunga teoria di donne che testimoniano a un mondo arido e impietoso il dono della tenerezza e della commozione, come fecero per il figlio di Maria in quella tarda mattinata gerosolimitana. Esse ci insegnano la bellezza dei sentimenti: non ci si deve vergognare se il cuore accelera i battiti nella compassione, se talora affiorano sulle ciglia le lacrime, se si sente il bisogno di una carezza e di una consolazione.
Gesù non ignora le attenzioni caritatevoli di quelle donne, come un tempo aveva accolto altri gesti delicati. Ma paradossalmente ora è lui a interessarsi delle sofferenze che incombono su quelle «figlie di Gerusalemme»: «Non piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli!». C’è, infatti, all’orizzonte un incendio che sta per abbattersi sul popolo e sulla città santa, «un legno secco» pronto ad attizzare il fuoco.
Lo sguardo di Gesù corre verso il futuro giudizio divino sul male, sull’ingiustizia, sull’odio che stanno alimentando quella fiamma. Cristo si commuove per il dolore che sta piombando su quelle madri quando irromperà nella storia l’intervento giusto di Dio. Ma le sue parole frementi non suggellano un esito disperato perché la sua è la voce dei profeti, una voce che genera non agonia e morte ma conversione e vita: «Cercate il Signore e vivrete... Allora si allieterà la vergine alla danza, giovani e vecchi gioiranno insieme. Io cambierò il loro lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici».(32)
(32) Amos 5, 6; Geremia 31, 13.

DECIMA STAZIONE - Gesù è crocifisso
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 33-38
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
MEDITAZIONE
Era solo uno sperone roccioso denominato in aramaico Golgota, in latino Calvario, cioè «Cranio», forse per la sua configurazione fisica. Su quel picco si levano tre croci di condannati a morte, due «malfattori», probabilmente rivoluzionari antiromani, e Gesù. Iniziano a scorrere le ultime ore della vita terrena di Cristo, ore segnate dalla lacerazione delle carni, dalla slogatura delle ossa, dall’asfissia progressiva, dalla desolazione interiore. Sono le ore che attestano la piena fraternità del Figlio di Dio con l’uomo che patisce, agonizza e muore.
Cantava un poeta: (33) «Il ladrone di sinistra e il ladrone di destra / non sentivano che i chiodi nel cavo della mano. / Cristo, invece, sentiva il dolore dato per la salvezza, / il fianco trafitto, il cuore trapassato. / E' il cuore che gli bruciava. / Il cuore divorato d’amore». Sì, perché attorno a quel patibolo sembra risuonare la voce di Isaia: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui: per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Egli offrirà se stesso in espiazione». (34) Le braccia allargate di quel corpo martoriato vogliono stringere a sé l’intero orizzonte, abbracciando l’umanità, quasi «come una chioccia che raccoglie la sua covata sotto le ali». (35) Era questa, infatti, la sua missione: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».(36)
Sotto quel corpo agonizzante sfila la folla che vuole «vedere» uno spettacolo macabro. E' il ritratto della superficialità, della curiosità banale, della ricerca di emozioni forti. Un ritratto nel quale si può identificare anche una società come la nostra che sceglie la provocazione e l’eccesso quasi come una droga per eccitare un’anima ormai intorpidita, un cuore insensibile, una mente offuscata.
Sotto quella croce c’è anche la crudeltà pura e dura, quella dei capi e dei soldati che non conoscono pietà e riescono a profanare persino la sofferenza e la morte con lo scherno: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!». Essi non sanno che proprio le loro parole sarcastiche e la scritta ufficiale eretta sulla croce — «Questi è il re dei Giudei» — dicono una verità. Certo, Gesù non scende dalla croce con un colpo di scena: egli non vuole adesioni servili e fondate sul prodigioso ma una fede libera e un amore autentico. Eppure, proprio attraverso la sconfitta della sua umiliazione e l’impotenza della morte, egli apre la porta della gloria e della vita, rivelandosi il vero Signore e Re della storia e del mondo.
(33) Charles Péguy, Il mistero della carità di santa Giovanna d’Arco (1910).
(34) Isaia 53, 5.10.
(35) Luca 13, 34.
(36) Giovanni 12, 32.

UNDICESIMA STAZIONE - Gesù promette il suo Regno al buon ladrone
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: « In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
MEDITAZIONE
Scorrono i minuti dell’agonia e l’energia vitale di Gesù crocifisso si sta lentamente attenuando. Eppure egli ha ancora la forza per un ultimo atto d’amore nei confronti di uno dei due condannati alla pena capitale che gli stanno accanto in quegli istanti tragici, mentre il sole è ancora alto in cielo. Tra Cristo e quell’uomo scorre un esile dialogo, affidato a due frasi essenziali.
Da un lato, c’è l’appello del malfattore, divenuto nella tradizione «il buon ladrone», il convertito nell’ora estrema della sua vita: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno!». In un certo senso è come se quell’uomo recitasse una personale versione del «Padre nostro» e dell’invocazione: «Venga il tuo Regno!». Egli, però, la indirizza direttamente a Gesù, chiamandolo per nome, un nome dal significato illuminante in quell’istante: «Il Signore salva». C’è, poi, quell’imperativo: «Ricordati di me!». Nel linguaggio della Bibbia questo verbo ha una forza particolare che non corrisponde al nostro pallido «ricordo». E' una parola di certezza e di fiducia, quasi a dire: «Prenditi cura di me, non abbandonarmi, sii come l’amico che sostiene e sorregge!». D’altro lato, ecco la risposta di Gesù, brevissima, simile a un soffio: «Oggi sarai con me nel paradiso». Questa parola «paradiso», così rara nelle Scritture tanto da risuonare solo due altre volte nel Nuovo Testamento,(37) nel suo significato originario evoca un giardino fertile e fiorito. E' un’immagine fragrante di quel Regno di luce e di pace che Gesù aveva annunziato nella sua predicazione, che aveva inaugurato coi suoi miracoli e che avrà tra poco un’epifania gloriosa nella Pasqua. E' la meta del nostro cammino faticoso nella storia, è la pienezza della vita, è l’intimità dell’abbraccio con Dio. E' l’ultimo dono che Cristo ci fa, proprio attraverso il sacrificio della sua morte che si apre alla gloria della risurrezione.
Null’altro si dissero in quel giorno di angoscia e di dolore i due crocifissi, ma quelle poche parole pronunziate con fatica dalle loro gole riarse risuonano ancora oggi e riecheggiano sempre come un segno di fiducia e di salvezza per chi ha peccato ma ha anche creduto e sperato, sia pure alla frontiera estrema della vita.
(37) Cf. 2 Corinzi 12, 4; Apocalisse 2, 7.

DODICESIMA STAZIONE - Gesù in Croce, la Madre e il discepolo
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
MEDITAZIONE
Aveva cominciato a distaccarsi da quel Figlio fin dal giorno in cui, a dodici anni, egli le aveva detto di avere un’altra casa e un’altra missione da compiere, in nome del suo Padre celeste. Ora, però, per Maria è giunto il momento del distacco supremo. In quell’ora c’è lo strazio di ogni madre che vede ribaltata la logica stessa della natura per la quale sono le mamme a morire per prime rispetto alle loro creature. Ma l’evangelista Giovanni cancella ogni lacrima da quel volto addolorato, spegne ogni urlo su quelle labbra, non fa prostrare a terra Maria nella disperazione.
Anzi, c’è un alone di silenzio che è infranto da una voce che scende dalla croce e dal viso torturato del Figlio morente. E' ben più di un testamento familiare: è una rivelazione che segna una svolta nella vita della Madre. Quel distacco estremo nella morte non è sterile ma ha una fecondità inattesa simile al parto di una mamma. Proprio come aveva annunziato lo stesso Gesù poche ore prima, nell’ultima sera della sua esistenza terrena: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più del dolore per la gioia che è venuto al mondo un uomo».(38)
Maria torna ad essere madre: non per nulla nelle poche righe di questo racconto evangelico per ben cinque volte echeggia la parola «madre». Maria torna, dunque, ad essere madre e i suoi figli saranno tutti coloro che sono come «il discepolo amato», cioè tutti coloro che si pongono sotto il manto della grazia salvatrice divina e che seguono Cristo nella fede e nell’amore.
Da quell’istante Maria non sarà più sola, diverrà la madre della Chiesa, un popolo immenso di ogni lingua, popolo e stirpe che nei secoli si stringerà con lei attorno alla croce di Cristo, il suo primogenito. Da quel momento anche noi camminiamo con lei sulle strade della fede, ci troviamo con lei nella casa ove soffia lo Spirito della Pentecoste, ci sediamo alla mensa ove si spezza il pane dell’Eucaristia e attendiamo il giorno in cui il suo Figlio tornerà per condurci come lei nell’eternità della sua gloria.
(38) Giovanni 16, 21.

TREDICESIMA STAZIONE - Gesù muore sulla Croce
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 44-47
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest’uomo era giusto».
MEDITAZIONE
All’inizio del nostro itinerario era il velo della notte ad avvolgere il Getsemani; ora è il buio di un’eclisse a stendersi come un sudario sul Golgota. L’«impero delle tenebre» (39) sembra, dunque, sovrastare la terra ove Dio muore. Sì, il Figlio di Dio, per essere veramente uomo e nostro fratello, deve bere anche il calice della morte, quella morte che è la reale carta d’identità di tutti i figli di Adamo. E' così che Cristo «si rende in tutto simile ai fratelli»,(40) diventa pienamente uno di noi, presente con noi anche in quell’estrema agonia tra vita e morte. Un’agonia che si ripete forse anche in questi minuti per un uomo o una donna qui a Roma e in tante altre città e villaggi del mondo.
Non è più il Dio greco-romano impassibile e remoto come un imperatore relegato nei cieli dorati del suo Olimpo. In Cristo che muore si rivela ora il Dio appassionato, innamorato delle sue creature fino al punto di imprigionarsi liberamente nella loro frontiera di dolore e di morte. E' per questo che il Crocifisso è un segno umano universale della solitudine della morte e anche dell’ingiustizia e del male. Ma è anche un segno divino universale di speranza per le attese di ogni centurione, cioè di ogni persona inquieta e in ricerca.
Infatti, anche quando è lassù, morente su quella forca, mentre il suo respiro si spegne, Gesù non cessa di essere il Figlio di Dio. In quel momento tutte le sofferenze e le morti sono attraversate e possedute dalla divinità, sono irradiate di eternità, in esse è deposto un seme di vita immortale, brilla una scintilla di luce divina.
La morte, allora, pur non perdendo la sua tragicità, rivela un volto inatteso, ha gli occhi stessi del Padre celeste. E' per questo che Gesù in quell’ora estrema prega con tenerezza: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». A quell’invocazione ci associamo anche noi attraverso la voce poetica e orante di una donna scrittrice: (41) «Padre, anche a me le tue dita chiudano le palpebre. / Tu che mi sei Padre, volgiti a me anche come tenera Madre, / al capezzale del suo bimbo che sogna. / Padre, volgiti a me e accoglimi nelle tue braccia».
(39) Luca 22, 53.
(40) Ebrei 2, 17.
(41) Marie Noël, Le canzoni e le ore (1930).

QUATTORDICESIMA STAZIONE - Gesù è deposto nel sepolcro
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 50-54
C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato.
MEDITAZIONE
Avvolto nel lenzuolo funerario, la «sindone», il corpo crocifisso e martoriato di Gesù scivola lentamente dalle mani pietose e amorose di Giuseppe d’Arimatea nel sepolcro scavato nella roccia. Nelle ore di silenzio che seguiranno, Cristo sarà veramente come tutti gli uomini che entrano nel grembo oscuro della morte, della rigidità cadaverica, della fine. Eppure c’è già in quel crepuscolo del Venerdì Santo un fremito. L’evangelista Luca nota che «splendevano ormai le luci del sabato» dalle finestre delle case di Gerusalemme.
La veglia degli Ebrei nelle loro abitazioni diventa quasi il simbolo dell’attesa di quelle donne e di quel discepolo segreto di Gesù, Giuseppe d’Arimatea, e degli altri discepoli. Un’attesa che ora pervade con una tonalità nuova ogni cuore credente quando si trova davanti a un sepolcro o anche quando sente ramificarsi dentro di sé la mano fredda della malattia o della morte. E' l’attesa di un’alba diversa, quella che tra non molte ore, trascorso il sabato, apparirà davanti ai nostri occhi di discepoli di Cristo.
In quell’aurora sulla strada delle tombe ci verrà incontro l’angelo e ci dirà: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui! E' risuscitato!».(42) E sulla strada del ritorno alle nostre case sarà allora il Risorto ad accostarsi al nostro fianco, camminando con noi, varcando le nostre soglie per essere ospitato alla nostra mensa e spezzare il pane con noi.(43) Pregheremo, allora, anche noi con le parole di fede di un passo della più mirabile Passione secondo Matteo messa in musica e in canto da uno dei più grandi musicisti dell’umanità: (44)
«Anche se il mio cuore è immerso nelle lacrime perché Gesù prende congedo da me, il suo testamento mi dà gioia: egli lascia nelle mie mani un tesoro senza prezzo, la sua carne e il suo sangue... Voglio donarti il mio cuore perché tu vi discenda, mio Salvatore! Voglio sprofondarmi in te! Se il mondo è per te troppo piccolo, allora tu solo devi essere per me più del mondo e più del cielo!».
(42) Luca 24, 5-6.
(43) Cf. Luca 24, 13-32.
(44) Johann Sebastian Bach, Passione secondo Matteo, BWV 244, nn. 18-19.

Il Santo Padre rivolge la sua parola ai presenti.
Al termine del discorso il Santo Padre imparte la Benedizione Apostolica:

BENEDIZIONE
V/. Dominus vobiscum.
R/. Et cum spiritu tuo.
V/. Sit nomen Domini benedictum.
R/. Ex hoc nunc et usque in sæculum.
V/. Adiutorium nostrum in nomine Domini.
R/. Qui fecit cælum et terram.
V/. Benedicat vos omnipotens Deus,
Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
R/. Amen.