UMBRIA: IL RITORNO DELLA SPIRITUALITA’
NELL’EPICENTRO DELL’ANIMA DISASTRATA DEL PAESE

Articolo de La Repubblica di Lunedì 22 Dicembre 2008



Viene segnalato da tempo nel gorgo ciclonico delle difficoltà. Le sue manifestazioni sono addirittura visibili. Però mai come accade da circa un anno, tale crisi culturale interna, di massa, scava dentro i fallimenti esterni, si può dire più civili che ideologici. Se non si racconta questo, oggi ogni pretesa di ritratto del Paese è falsa. Non c’è memoria di un epoca tanto distante da valori di origine religiosa. Ma neppure si ricorda una corsa tanto affannata verso testimonianze che suggeriscano la possibilità di una divinità. “Il problema è – dice don Lucio Gatti direttore della Caritas di Perugia – che si chiude una stagione. Tramonta un modello di economia, di politica, di cultura, di chiesa e anche di società. Il sistema competitivo salta. Le persone si scoprono sole, abbandonate, impaurite, senza radici. E in questo disperato bisogno di vita esplode la domanda di significato”.

L’Umbria è il simbolo dell’Italia doppia, atea e cristiana: sospesa sulla confusione ma scossa da un istinto antico di essenzialità. E’ la ragione dove si abortisce e si divorzia di più. E’ in testa alle classifiche di morti per overdose e per infortuni sul lavoro. Detiene il record della laicità e la sinistra è al potere da sessant’anni. Comanda la massoneria, che solo nel capoluogo conta 47 logge. Se i battezzati sono il 98%, i cattolici praticanti non arrivano al 7%. Nello stesso tempo è la terra di San Benedetto, San Francesco, Santa Chiara, Santa Rita, e della Beata Angela da Foligno, di Madre Speranza, Carlo Carretto e Aldo Capitini. Nessun altro luogo al mondo vanta una simile concentrazione di figure chiave del cattolicesimo. Alla marcia della Pace partecipano mezzo milione di persone ogni anno, di ogni religione e di ogni continente. Perugia è sede dell’Onu dei popoli, Terni dell’Onu dei giovani. Anche il numero di monasteri, abbazie e santuari è unico sul pianeta. Quest’anno il Sacro Convento di Assisi è stato visitato da 6 milioni di persone, la Basilica di Cascia da 3 milioni. I commercianti umbri in otto mesi hanno venduto 4 milioni di croci. C’è una figura religiosa ogni 326 abitanti, primato secondo solo a quello del Vaticano. Nei centri di venerazione e di ritiro in un anno i frequentatori sono aumentati del 41%. Le presenze in chiesa per la messa invece sono calate del 27%. “Se consideriamo anche movimenti cattolici, guaritori, santoni, comunità yoga, istituti di meditazione buddista, scuole islamiche, centri benessere e di ontopsicologia – dice il sociologo Roberto Segatori – l’Umbria è davvero il nuovo teatro mondiale di Dio. E’ il palcoscenico dove si consuma l’ultima insicurezza dell’Europa terrorizzata dalla precarietà, il rifugio di chi fugge dalle grandi agenzie costruttrici di civiltà. C’è però più spiritualismo che spiritualità. Famiglia, scuola, parrocchia, partito sono sostituiti da Internet, i-pod, televisione e cellulare. Cambiano i mondi vitali dietro la radicalità di scelte intimiste, affiora l’individualismo, la superstizione. La crisi italiana affronta l’indifferenza con la tradizione: ma resta un’esperienza privata, fai da te, non un progetto di fede collettiva”.

Nell’epicentro dell’anima disastrata del Paese, domanda di profondità, consuetudine e new age si intrecciano. Però sarebbe omissivo non prendere atto con semplicità che in questo magma ancora liquido, comincia a raffreddarsi un nucleo solido che somiglia molto a una spiritualità popolare. “Nessuna proposta – dice Flavio Lotti della Tavola della Pace – è più in grado di dare vita a un sogno di felicità. Economia, politica, cultura, tradendo la democrazia, si interessano solo di chi temono. La nuova, forte domanda di etica è la nuova protesta contro una società che non risponde alle persone. Dentro la vaghezza di un intimismo radicale, non c’è solo la sofferenza del vuoto. C’è la domanda di una nuova cultura politica, di un diverso modello di società”. Molti nelle celle monastiche dell’Umbria sono convinti che proprio il francescanesimo stia ridando vita ad un’autentica identità nazionale (cfr.il mio scritto dedicato a P. Agostino Gemelli per l’Anno Gemelliano 2009 – Università Cattolica, ndr) – “si può essere contro l’ateismo devoto della politica che invita ai consumi - dice don Angelo Fanucci a Gubbio – ma dio in tv è chiunque, mentre la gente accetta un potere governativo e curiale che delega a Luxuria, Parietti, De Filippi, Cassano, Sgarbi e Berlusconi le risposte sulle scelte di vita”.

Qual è allora l’Umbria terremotata, specchio di una popolazione che rientra nelle sue abbazie a ricercare se stessa? E’ quella che nelle librerie consegna il record degli acquisti a sei libri che parlano di Dio, o che si incolla davanti agli sceneggiati sulla vita di Paolo VI e di Bernadette? Oppure è quella che in Italia mette al mondo meno figli e spende di più per i soggiorni tropicali, di meno in carità, e apre il maggior numero di centri massaggi d’Europa? Il casolare di Sanfatucchio è una possibile, sconvolgente risposta. Una provocazione. Una quarantina di ragazzi escono dal clima italiano, e cercano di colmare il vuoto scavato dalla crisi. Oggi sono in silenzio da prima dell’alba. Con loro c’è Vittorio Viola, un mistico, custode del Convento di Santa Chiara in Assisi. Legge alcuni passi del Vangelo, piange e trema. Poi resta in silenzio fino all’ora del pranzo. E’ una tremenda lezione di religione. Intensa al punto che la sua fede fa paura. Ma è umana, perché ci dice che recuperare la complessità significa, laicamente, stare vicino a qualcuno. “Chi si schiera più con la gente semplice? Le banche, i supermercati, i partiti, i sindacati, i genitori? Il nulla in cui ci muoviamo testimonia che il cuore umano è fatto per l’eternità e nel mondo non la trova”. Qui a Sanfatucchio pochi sono cattolici. Due sono musulmani e il rispetto con cui ascoltano il silenzio, come un gioiello, indica un cambiamento che si compie, più diffuso della sua rappresentazione esterna. Per questo non stupisce tra le chiese vuote e le messe deserte, il flusso inarrestabile che intasa monasteri e conventi. Spesso nelle basiliche l’ingresso è sbarrato, e pochi vecchi vagano. Non una volta invece che si cammini soli in un’abbazia, che non si faccia coda davanti alla tomba di un santo, che non si scoprano centinaia di persone che a piccoli gruppi facciano ritiri di meditazione. Gli uffici delle Curie, si dica senza generalizzare, esprimono paura, assedio, polemica ostilità, isolante diffidenza. Invece, parroci, frati, suore, l’esercito di religiosi e nuovi volontari che hanno scelto la clausura, trasmettono un ottimismo pratico, felicità, fiducia sbrigativa di chi non tempo di intrattenersi troppo con la retorica della crisi. A chi per dovere dà i numeri degli smottamenti vocazionali e dei fedeli praticanti, loro rivolgono un sorriso: “non sono le chiamate a mancare – dicono – ma le risposte”. Ma aggiungono: “basta aspettare”.

“Siamo i sopravvissuti a uno tsunami - dice Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni – ed è naturale che si cerchi nella spiritualità quello che i giorni non offrono più: relazioni, ascolto, ricordi, esempi, terra, storia, arte, natura e perfino paesaggi. Il boom delle confessioni fa riflettere. Esprime uno spaventoso bisogno di condividere il dolore, di colloqui, di astensione dal giudizio. Ma rivela in particolare una necessità di rinascita etica e morale, non necessariamente cattolica. Il dramma è l’autoreferenzialità collettiva, lo sfarinamento nazionale innescato dal mercatismo senza regole. A Stato e Chiesa serve uno schema nuovo, un nuovo progetto che superi pure divisioni invecchiate. L’ossessione legislativa non esaurisce la responsabilità di offrire all’Italia una prospettiva totale : perché il pericolo è diventare prima il sostegno ad un equivoco politico, e poi una parte dell’implosione del sistema”.

Oltre questo profondo dissenso culturale con la gestione della società italiana condiviso da tre vescovi, un rettore di seminario, quattro parroci, cinque badesse, due direttori della Caritas, tre frati ritiratisi negli eremi dopo la morte di Charles de Foucauld, diversi frati che accolgono i giovani a Santa Maria degli Angeli, sei custodi di conventi (qualcuno pure griffato), a lungo frequentati nel soggiorno umbro, c’è da dire che il Vaticano non è più una novità. Non è che si rinunci a parlarne, ma la proporzione dell’interesse rispetto all’esposizione mediatica e politica, spinge all’indifferenza. Sembra di capire, quando non viene esplicitamente detto, che il cattolicesimo di base si consideri diverso. (Benedetto XVI continua comunque ad essere letto, ndr). Gli scontri teologici, le quotidiane polemiche sulla vita e la scienza, la stessa lobby normativa che pretende di fissare opportunità e attimi di ogni scelta, rimane sullo sfondo. Alla Porziuncola, a Spello, a Sassovivo, a Norcia, a Collevalenza, si seguono le grandi dispute con il secondo orecchio riservato alle debolezze e alle futilità.

Non c’è la bioetica nel ritorno di senso religioso che coinvolge i luoghi sacri dell’Umbria. La devastazione della famiglia, la povertà, la solitudine, la precarietà del lavoro e dell’amore, l’abbandono dei figli da parte dei genitori, l’accoglienza degli immigrati, il disprezzo esplosivo per una generazione politica che serve solo i propri interessi, la malattia ridotta ad emarginazione. “La spiritualità – dice Gualtiero Sigismondi, giovane vescovo di Foligno – non è astrazione e isolamento, ma concretezza e coinvolgimento. E dice che l’amore per Cristo sarebbe un vago sentimento, se non si esprimesse come fedeltà alla Chiesa, che però non ha un territorio da occupare, ma una maternità da allargare. E questo non vuol dire solo che i no papali non sono segnali di divieto, ma sono frecce direzionali. Ma il guaio è che troppe iniziative celano l’assenza di iniziativa: prima di stare in piedi dobbiamo metterci in ginocchio”. Uno schietto rilievo interno che per completezza impone di non ignorare l’altra costante che insegue chi, da laico affetto da ignoranza, si ostini a voler raccontare qualcosa del mutamento che sta investendo la nuova Italia religiosa: la critica dei mezzi di informazione. E’ stupefacente la condivisione delle riserve. Siamo assediati – dice a Prepo suor Roberta Vinerba, teologa, autrice di best-seller e star della tv – perché restiamo gli ultimi a rompere le scatole. Prevale un sistema massmediatico anticlericale e radical-chic, servo degli interessi occulti che lo sostengono. Non rappresenta il Paese reale, ma un modello sociale che sfrutta per fare i soldi”. E’ questa la realtà in cui si muove il “bisogno di altro” che ribolle nel centro e nell’intimo della nazione. Muove verso l’Umbria un popolo che tutto cerca perché scopre che ciò che ha, ormai è niente. Incontra luoghi meravigliosi e figure straordinarie: ma dentro un campo di battaglia avvolto in una nebbia, che nasconde bande armate di incomprensibili nemici. Così le risposte sottratte al loro silenzio restano inaccettabili. Ma questo silenzio nell’eremo di Montepiano c’è, e cresce il numero di coloro che, credenti o atei, non accettano di ignorarlo. Può essere che l’ “io” detti ancora molti passi, però questa volta qualcosa si muove. “Ci portano esistenze devastate – dice Franco, piccolo fratello, imbianchino, eremita – dalle molte morti nascoste che si consumano tutti i giorni. Non si ha idea di quanta gente in Italia cerchi l’opposto di quel che il format televisivo ci impone. Perciò un sotterraneo senso civile ancora invisibile sta già incredibilmente salvando il Paese. Non è un malinteso, perché la spiritualità è soltanto “la passione degli altri”. Così suor Roberta si congeda. Rapidamente, come l’abbadessa del monastero delle Clarisse di Santa Lucia. Inutile tornarci sopra: la chiave umbra, identità nazionale in restauro, è questo inaccessibile che ci abbraccia (cfr. il mio scritto dedicato all’Università Cattolica – 11 maggio 2005, ndr)