NOTE PER L’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE

AMICI DEL VESCOVO MONS. EUGENIO CORECCO

PER LA FESTA DELLA PRESENTAZIONE
DI GESU’ BAMBINO AL TEMPIO

2 – 2 – 2013


DIO E’ MISERICORDIA INFINITA

Cari Amici, ci raccogliamo ancora una volta nella preghiera in comunione con colui che Dio ha voluto quale Vicario di Gesù Cristo Papa Ratzinger, per fare memoria del nostro amico nella memoria di Cristo stesso. Queste note riguardano il periodo degli anni 2011 e 2012, così carichi di avvenimenti.

Intanto, ringraziamo il Santo Padre per un dono, che interessa profondamente la vita della nostra Associazione: la nomina di Angelo Scola alla guida della Chiesa Ambrosiana, dove è diventato ufficialmente Successore di Sant’Ambrogio con la solenne celebrazione, che c’è stata in Cattedrale il 25 Settembre 2011. Si può scorgere in tale scelta del Santo Padre un segno della Sua amorosa volontà di accompagnare l’umanità intera al compimento del suo destino, aiutando la Chiesa ad essere luce delle genti, lumen gentium, come dice l’ultimo Concilio Ecumenico. A salutare questo provvidenziale fatto, ci sono stati numerosi interventi, fra i quali ce n’è uno di particolare interesse, perché viene da un vecchio amico di Scola, saggio sacerdote, direttore del giornale diocesano, don Giuseppe Grampa, il quale evoca i lunghi anni di collaborazione con lui nella rivista Communio, voluta da Balthasar insieme a Joseph Ratzinger, Eugenio Corecco, e altre persone a loro connesse. Per tali eccelsi maestri, sintonici al nostro amato Luigi Giussani, la communio è il segno di Gesù Cristo, avvenimento nel presente, che grazie alla communio (sacramentale-personale, sociale, e quindi storica) diventa conoscibile anche oggi, dopo 2000 anni dalla Sua esistenza. Don Giuseppe ricorda Monsignor Eugenio Corecco, che con Scola ha vissuto gli anni della formazione, “mossi da una presenza che dava significato ad ogni aspetto della vita”.

Quindi, cari amici, immaginate con quale commozione, ho partecipato al momento che c’è stato Martedi 15 Gennaio 2013, nella parrocchia di San Giovanni in Laterano, dove il Cardinale Scola su invito di don Giuseppe ha svolto il tema: “Chi è la Chiesa”. Lo ha fatto nella prospettiva dell’ultimo Concilio Ecumenico, che ritrova l’immagine dell’uomo nella luce di Gesù Cristo. Cfr GS 22 “nonnisi in mysterio Verbi Incarnati mysterium hominis vere clarescit”.

Ma che cosa ci ha detto Scola, arrivando a Milano nel Settembre 2011? Semplicemente, ha riletto la diagnosi di Montini, anche lui messo a capo della Chiesa Ambrosiana nel 1956: “una diagnosi sullo stato di salute della vita cristiana”, che a sua volta si rifaceva alle parole che lo stesso Montini scrisse nel 1934: “Cristo è un ignoto, da qui viene quel processo di separazione fra fede e vita che riguarda tanti cristiani”. Ecco perché gli anni Ottanta e Novanta del secolo passato (un momento storico che alcuni trovano segnato dal cosiddetto “asse morale Wojtyla-Bush”) si sono svolti nell’impegno a far conoscere Cristo, specialmente in relazione alla cosiddetta “famiglia naturale” (di cui parla anche l’articolo 29 della Costituzione Italiana). E si è vista la portata storica delle parole wojtyliane (ispiratrici di una parte del pontificato): “una società sana è fatta di famiglie sane”.

Dobbiamo dire, cari amici, che abbiamo vissuto un momento assai toccante nell’Incontro Mondiale delle Famiglie, che si è svolto a Milano con Papa Ratzinger, dal 30 Maggio al 3 Giugno 2012. Nella stessa Domenica 3 Giugno 2012, Festa della Divina Trinità, mentre partecipavo all’Incontro con Ratzinger e Scola, insieme a tante famiglie arrivate da ogni Paese, mi è giunta la notizia della morte del mio papà. “Ti sia di consolazione l’averlo potuto accompagnare – mi scriveva Rita Monotti, medico personale di Mons Corecco - e sostenere nel suo cammino verso il compimento. Lui ora è con Gesù e contempla la gloria del Risorto. La vita eterna è un mistero, ma non per questo meno reale e intuibile agli occhi della nostra mente e del nostro cuore”.

A questo riguardo, cari amici, rileggevo un testo di Cristoph Schonborn al Congresso della Misericordia del 2008, un testo che mi sembra quanto mai attuale per i nostri tempi, e per i tempi delle prossime generazioni. L’invito a studiarlo e a farlo proprio, è giustificato dal fatto che il messaggio della misericordia appartiene alla storia che il grande Papa ci ha lasciato. Nel nucleo di questo messaggio, ritroviamo tutta l’energia che ha portato legioni di cittadini a comunicare il cristianesimo nel succedersi delle generazioni. E anche oggi può succedere (vedi Cristoph Schonborn, “Christianity, Alien Presence or Foundation of the West?”, 3 Febbraio 2010, Catholic University of America).

Ecco perchè possiamo rileggere con uno sguardo diverso l’articolo di Tempi dedicato all’opera di Guido Piccarolo per coloro che tornano a casa dalle guerre, a volte con i sintomi di gravi affezioni post-traumatiche (Tempi, numero 38, Settembre 2011). Leggendo questo articolo, mi è tornato in mente quello che l’Osservatore Romano ha dedicato alla figura di Von Galen e al massacro dei malati di mente nella Germania nazista (3 Agosto 2011). Cari amici, come si potrebbe leggere un simile testo, se non ci fosse la misericordia di Dio, che il nostro amato don Eugenio e don Giussani ci hanno fatto conoscere?

Per aiutarci a vivere le vicende del quotidiano, credo giovi ridare un’occhiata a un altro testo che appartiene alla nostra piccola storia, e che può interessare tutti, cari amici, un testo che mi tocca profondamente negli ultimi tempi, pensando alle vicende degli uomini nostri contemporanei.
E’ il testo che Luigi Giussani ha dedicato a Giovanni Testori il 19 Marzo 1993, al funerale dello scrittore: “se mi permettessi di domandarti quale parola soprattutto vorresti ripeterci, così che rimanga la tua eredità in questo breve spazio che ci resta da vivere, occorre ricordare un’altra parola. Quando tu eri piccolo – l’hai raccontato tu – e il Bambino Gesù ti aveva portato molti doni, tu li mostrasti con sussiego al figlio del portinaio e dicevi: “io sono il figlio del padrone!”. E quello se ne andò via piangendo. Vistolo piangere, tuo padre, per cui gli operai erano parte della sua carne e del suo corpo come la sua famiglia, domandò il perché. E quel bimbo disse il perché. Così che il giorno dopo tu, messo in ginocchio di fronte a tutti gli operai, dovesti dire: “Perdono, perdono!” Questa è la parola! La più grande parola che l’uomo possa ripetere è rimasta ficcata dentro il tuo cuore e il tuo corpo, dentro la tua personalità. Anche quando non sembrò più agire, essa agiva lo stesso: perdono.

Ma questa è la parola che non può portare alcun uomo, perché la parola “perdono”, o “misericordia”, che è lo stesso, implica l’abbraccio intelligente, e appassionatamente giusto, e spalancato alla valorizzazione di tutti i fattori di un gesto umano. E chi può vederli e abbracciarli può essere soltanto qualcosa di più grande dell’uomo. Accade così con la ragione. Come la ragione è la capacità che la natura ha di prendere coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, così soltanto una sorgente divina può produrre questo abbraccio totale, per cui l’uomo è immagine di Dio. Così nella moralità, il perdono e la misericordia raggiungono il culmine della espressività umana, imitazione del mistero di Dio, rappresentazione del cuore di Dio. Che Dio ci renda capaci di perdono e di misericordia. Ma che potente sentimento avevi di questa parola: perdono! Non più bambino, ma grande, grande agli occhi e al cuore e alla coscienza di tanta gente, davanti alla società intera, anche quando non era d’accordo con te, grande, eri dominato da questa parola più grande di te: “perdono”. Ma è questo che ti ha salvato nella vita. Si, questa parola ti ha salvato. Giovanni Paolo II in una sua enciclica dice che la definizione più adeguata di Dio sta nella parola “misericordia”, perché la misericordia eccede, debordando da ogni limite, e abbracciando tutto il dolore e il limite umano, fa rifluire in esso il suo fervore infinito di vita, la sua capacità di vita infinita.

Dunque la parola che più definisce Dio è la parola “misericordia”. Infatti è la parola più misteriosa per l’uomo. Non esiste parola più misteriosa di questa o più stranamente attraente e meno credibile di questa, finche l’uomo non sia investito dalla misericordia, che si chiama grazia dello Spirito.

Ora nella storia la parola “misericordia”, dice il Papa, ha un nome: Gesù Cristo. L’amore a Cristo che ci perdona, che porta la magnanimità del Padre nella nostra carne, nel nostro mangiare e nel nostro bere, nel nostro vegliare e nel nostro dormire, nel nostro vivere e nel nostro morire”.

Così Giussani.

Non rimane molto da dirci, cari amici, se non chiederci di ricordarci nella preghiera, ogni volta che Dio ci da la grazia di farlo, col cuore segnato dalle parole che ci siamo scambiati col nostro amato e sempre presente don Eugenio Corecco. Infatti, grazie a lui, possiamo ricordarci nella preghiera in comunione col Santo Padre, memori della formula di Sant’Ambrogio: “ubi Petrus ibi Ecclesia, et ubi Ecclesia ibi nulla mors, sed vita aeterna”. Allora salutiamoci ancora con le parole della Prima Lettera di Pietro: “vi saluta la comunità che è stata eletta come voi in babilonia …. salutatevi col bacio della carità e sia pace a tutti voi che siete in Cristo”.