ITALIANE : RITRATTI DI 12 MAMME

7 dicembre 2002
Dedico al nostro Vescovo Card.Tettamanzi, il quale ha seguito i medici con empatia e del quale succhiamo le parole come neo-nati che succhiano la tetta della mamma, perché “tutti insieme dobbiamo costruire la nuova cultura della vita” (Giovanni Paolo Secondo)

Indice:
Prologo
Annina
Anna
Caterina
Clara e Raffaella
Concetta
Adriana
Fatima
Jolanda
Giovanna
Mariangela
Mariapaola



Prologo
L’idea di creare 12 schizzi su 12 donne del nostro Paese è stata un’idea incubata durante una meravigliosa serata, mentre eravamo a cena su una barca-ristorante al porto di Reggio Calabria e potevamo godere di parecchio pesce fresco, dall’antipasto al secondo ai fichi d’india. C’era una vista specialissima sullo stretto di Messina e potevamo vedere l’orizzonte delle sponde sicule segnate da varie file di luci. Degustando la cena su quella terrazza siamo stati sorpresi dalle manovre dei TIR, che sbarcavano dai traghetti appena approdati e già pronti a prendere le vie del mondo attraverso l’Italia. E’ dolce il clima di questo tempo: settembre è così. Abbiamo viaggiato fino a Roma, dove siamo arrivati in ora vespertina e piena di pace, quell’ora del sabato in cui inizia la struggente liturgia domenicale. Siamo stati a Termini per una merenda con pizza e coca. E poi: ecco San Pietro nei tratti più quotidiani della sua veste dimessa, proprio quella giusta per due fedeli come noi. Senza calca la chiesa s’è aperta bella e spaziosa. Con un piccolo numero di devoti ci troviamo dietro l’altare della Confessione e partecipiamo alla celebrazione prefestiva, dove sentiamo il sacerdote che parla dei riti pagani che conobbero i primi cristiani. Come sempre in quel posto si vedono facce di tutti i colori con abiti e costumi tutti diversi, ma nella semplicità di una famiglia. Vado a ricevere la comunione in camicia e ciabatte ai piedi, come si va a prendere il pane nel negozio vicino a casa. Poi visitiamo la libreria e spediamo le cartoline. Quindi ci portiamo fuori Roma nella residenza di una Fraternità Sacerdotale per consegnare un dono a un amico. Faccio questi cenni introduttivi, non per dare significati ideologici agli scritti che seguono, ma perché servono a contestualizzare i momenti in cui sono stati concepiti. Tuttavia per andare più a fondo, dovrei circoscrivere la ragione che connette tutte le dodici figure. Ovviamente non si tratta di agiografia. Né si tratta di una ragione sentimentale e soggettiva. Ma è di ordine deontologico, per le valenze che assume questo termine nell’etica professionale. Infatti si può dire che ho sentito il dovere di curare questi scritti, perché parlano di dodici italiane che a loro volta possono curare tanti mali del mondo, perché le loro vicende si collegano alle note tipiche del genio italiano: l’idea della maternità. E’ quel segreto profondo che proviene all’uomo da Dio e fa risplendere in lui la Sua immagine. Ecco perché sono venute a delinearsi nei nostri occhi 12 figure di mamme. Senza credere che la maternità riguardi solo la pura fisiologia e venga ridotta al mercato delle vacche o ad una grande fiera di macchine. E’ vero piuttosto che queste donne hanno potuto portare la propria maternità, perché hanno imitato la Vergine Senza Peccato: l’Immacolata. Magari senza saperlo. E’ Lei la Mammina del Cielo nella Quale risplende la Concezione dell’uomo secondo Dio, proprio come la Chiesa Cattolica ha per dogma proclamato l’8 dicembre 1854.
Di questo sono assolutamente convinto.


Annina: il Novecento, un secolo da non dimenticare

La mia nonna ha speso la sua vita nel secolo che ha inventato i totalitarismi. Non c’erano questi regimi prima del Novecento: non c’era mai stato un regime fondato su un’ideologia negatrice di Dio fino ad organizzare tutta la vita sociale con disumanità sistematica e quindi produrre un numero di morti mai visto prima. La mia nonna è passata in mezzo a tale inferno.

Era nata da mamma Giuditta, che aveva prestato servizio alla corte napoletana del Regno delle Due Sicilie. Il papà Natale era finito cieco per una lesione agli occhi, che si era procurato nel costruire la propria casa fra le montagne dell’Umbria. Là venne alla luce la mia nonna nel 1909.

Donna ricca di esperienza ma di modeste condizioni economiche, ha trascorso un’esistenza abbastanza tranquilla. Favorita dal suo bel carattere, poteva ascoltare le prediche del marito senza prendersela tanto, e poteva affidare i lavori di casa alle figlie più grandicelle, che furono educate al senso di responsabilità. Per i sei figli messi al mondo, lei ha cercato d’essere sempre un esempio di serenità, anche quando le circostanze erano contrarie. Cercava di non farsi mai mancare quel pochino di vita sociale, che la faceva sentire donna: dal Circolo dell’Azione Cattolica alle riunione con le amiche: la nonna sapeva “stare in compagnia” col gusto della parola facile ma discreta. Forse per questo è sempre stata “brava” per tutti. Nel giudizio comune lei è stata una brava figlia, una brava moglie, una brava nonna. Così ha potuto mantenere la propria serenità e attraversare gli anni del Novecento, il secolo delle più indicibili tragedie politiche, sociali e storiche che l’umanità possa ricordare.

Tuttavia so che alla nonna non piaceva la politica. Anzi la sentivo dire che “la politica è meglio lasciarla stare”. Di sicuro non le piacevano i “rossi”. Non so come la penserebbe oggi: dopo vent’anni dalla sua partenza: la storia ha subito una progressiva accelerazione e cresce la presenza dei “verdi” e dei “gialli” insieme ai “rossi”.
So che la sua serenità era fondata su una naturale tolleranza per tutte le razze, perchè era memore dei due fratelli emigrati in America. Ed era memore della guerra prodotta dall’alleanza fra Mussolini ed Hitler ad opera delle massonerie.

So che la nonna ritrovava se stessa nel Vangelo. E tutta la sua saggezza si riassume in una frase che mi ripeteva sempre, quando litigavamo io e mia sorella: “non fare agli altri quello che non piacerebbe fosse fatto a te”. In questa parola , cattolica com’era, lei sapeva essere contenuta tutta l’eredità del cristianesimo.

So che la nonna è rimasta vedova a 56 anni con una figlia di 13. Per affrontare la nuova condizione emigrò a Milano, dove erano già emigrati 2 dei suoi figli. Così ha vissuto 20 anni nella condizione di “trapiantata”, ed ha sperimentato quanto non sia facile il trapianto in una terra diversa, dove si parla con accenti diversi e si respira una tradizione diversa.

Ma so che il suo bel carattere insieme a qualche aiuto ricevuto da mio padre, con un po’ di buona volontà ha permesso alla nonna di vincere la solitudine e di trascorrere con decoro l’anzianità in una bella casetta vicino a noi. Si sentiva amata dai suoi condomini, ma questo non le impediva di passare tante ore davanti alla televisione. Oppure ascoltava la radio. E quando faceva bel tempo amava dialogare con qualche amica all’ombra di un fico in un cortile vicino a casa.
Nei tempi festivi andavamo insieme in vacanza. Siamo stati più volte al mare in Puglia e in Spagna. Abbiamo fatto tante gite fuori porta e tanti ritorni a casa nella dolce Umbria. Mentre viaggiavamo, la nonna ci raccontava storie avvincenti e noi si rimaneva vinti ad ascoltarla.

Negli ultimi anni la nonna andava poco dal parrucchiere. Faceva fatica a camminare per uno scompenso cardio-circolatorio complicato dall’enfisema polmonare e dalla bronchite asmatica cronica: le veniva subito il fiatone e doveva fermarsi qualche minuto. Per diversi anni la nonna assumeva le sue medicine con grande fiducia ed ogni volta che c’era qualche cambiamento nelle prescrizioni, dovevo riscrivere su un foglio bianco, bello chiaro, tutto il programma quotidiano della terapia, per aiutarla a leggere i nomi dei farmaci con la sua vista, che veniva a mancare.

Un pomeriggio mi accorgo che ha gli occhi lucidi e vedo uscire due lacrime. Mi fanno impressione, perché è la prima volta che vedo piangere la nonna. Domando: “nonna che cos’hai?”. La risposta non me la ricordo. Ma ricordo di averla abbracciata, e tenendo la sua testa appoggiata sulla mia spalla, le ho dato qualche carezza.

Dopo diversi ricoveri in ospedale, nel 1983 si è aggravata. Una sera dicembre suona il telefono: chiamano dall’ospedale dove la nonna è ricoverata, per dirci che le è subentrato un blocco renale irreversibile. In mezz’ora giungiamo al letto della nonna, la quale è già in fin di vita, ma è in grado di riconoscerci. Dice a me e al papà: “voi che avete forza, aiutatemi ad alzarmi”. Per un quarto d’ora siamo rimasti vicini e la mamma le ha prestato le ultime cure. Alla fine ha chiesto un po’ d’acqua. Ma bevendo, l’ultimo sorso d’acqua è andato di traverso nelle vie respiratorie. Le sono mancate le forze ed è spirata, reclinando il capo sul braccio della mamma.

Alla fine l’abbiamo ricordata nel clima raccolto degli affetti più cari. L’ultimo saluto è stato celebrato nella sua parrocchia: il funerale si è svolto lungo le strade imbiancate dalla neve, ma non c’era freddo nei nostri cuori. E dopo qualche tempo, le spoglie della nonna sono state traslate nel cimitero di Foligno, dove riposa a fianco del marito.

Non ci vediamo da vent’anni, nonna. Ti penso insieme agli altri nonni e coi nonni del Francesco: siete otto nonni tutti insieme, e per voi otto abbiamo fatto dire una Messa in suffragio. Ora penso che sei stata una brava nonna. Penso che la tua esistenza ha attraversato il secolo delle massime tragedie di tutta l’umanità, il secolo che ha inventato i totalitarismi di ogni colore e che ha prodotto il massimo numero di morti. Ma tu hai saputo mantenere il tuo carattere sereno. Il tempo passato con te si riassume tutto nell’eredità di quelle parole che ti piacevano. Sono le stesse parole in cui si trova la cifra del cristianesimo: “non fare agli altri quello che non piacerebbe fosse fatto a te”.


Anna: la gioia dell’accoglienza nella dolce Umbria

Un tratto delle donne italiane che può fare colpo è quello relativo alla loro accoglienza, che si lega alla capacità di sorridere, di ascoltare, di cucinare, di consolare, di organizzare feste e di riconoscere quando si deve riposare. Ma ciò che più meraviglia delle donne italiane è che queste cose sanno farle in privato, e se serve, anche in pubblico.
Per questo mi piace essere ospitato da lei e senza volermi approfittare, non temo di portare un amico con me in casa sua. E’ successo con Nicola, con Ernesto e con altre persone, che hanno potuto conoscere quale sia la stoffa della zia Anna: classe 1944, segno zodiacale: leone.
Quando mi vede, la sua prima reazione è quella di abbracciarmi e baciarmi con tenero trasporto. Mi guarda con profonda dolcezza e mi chiede: “come stai chicco?”. Nonostante le mie avvertenze un po’ sprovvedute, perché non si disturbi e non voglia mettersi a cucinare, la sua risposta tipica è sempre la stessa: “beh, che cce vole?”

Anche qui siamo in piena terra italiana, precisamente a Spello in provincia di Perugia, un piccolo borgo medievale dotato di feconde campagne e di apparati commerciali che si estendono in tutti i settori.

A Spello la festa del Corpus Domini si celebra con una manifestazione pubblica per le strade del Comune, le quali vengono ricoperte di petali di fiori di tutti i colori, in modo da comporre immagini sacre che fanno da tappeto al passaggio del Vescovo, il quale le percorre portando il Santissimo in processione: si chiama Infiorata. Per preparare il percorso della manifestazione, fatto di tante immagini di ogni colore, si lavora per giorni e giorni, di giorno e di notte, all’interno di un’equipè di operatori selezionati.

Questa manifestazione è stata portata in Terrasanta grazie alle mediazioni di una figura eminente: il Padre Custode di Terrasanta. Lui si chiama Giovanni Battistelli ed è un uomo dai tratti gentili e dai toni profondamente umani, allenato ai giochi della diplomazia e delle relazioni ecclesiastiche. Se non fosse per i gravi compiti che ha ricevuto, Battistelli ha lo stesso animo dei ragazzi che popolano la sua terra umbra.

Grazie alla zia Anna, che è la sua cugina prediletta, essendo figlia di un fratello di mamma Attilia, ho potuto parlare al telefono con lui e gli ho inviato il Bollettino dell’Associazione Internazionale degli Amici del Vescovo di Lugano Mons. Eugenio Corecco, alla quale sono iscritto fin dal principio. La terza volta che ci siamo sentiti, è stato lui a chiamarmi al cellulare a metà agosto, per dirmi che si trovava in Italia e che a settembre avrebbe accompagnato a New York un portale già messo in mostra nel Duomo di Milano, e destinato alla Chiesa della Natività in Terrasanta. L’opera si aggiunge alle altre che la chiesa ambrosiana sostiene in Terrasanta, come il sostegno a un forno per la produzione di alimenti destinati alle famiglie di quei popoli.

Non ci sono volute molte parole comprendere Battistelli, farmelo sentire uno di noi. Quindi chiedo sempre alla zia Anna di lui e lo penso nell’amicizia che Cristo genera fra di noi.


Caterina: la tenacia di chi vuole vincere

Caterina è una mia assistita, ma non ne parlerò come medico, piuttosto ne parlerò come concittadino, perché lei abita nello stesso paese in cui abito io. Per questo mi capita di vederla passare in bicicletta per queste strade, o di sentirne parlare da altre concittadine.
Quando viene da me, e lo fa mediamente due volte ogni settimana da quasi due anni, io mi sento impotente, perchè penso alla storia di questa mora, calabrese, classe 1959, felicemente sposata, amante dei buoni costumi, timida e riservata. Penso alla sua affettività dilacerata e al suo imponente dimagramento avvenuto senza spiegazione in poco tempo. Penso al suo sguardo vuoto e alle sue parole interrotte, dopo che la sua bambina affetta da autismo è stata accolta in un Istituto Sociale, e i loro rapporti si sono drammaticamente diradati.
La relazione fra questa mamma e la sua bambina si è fatta più misteriosa e più sacra per il papà e per chi la vede con gli occhi del papà.
Ma mi sono sentito impotente, quando ho saputo che Caterina era stata investita da un’auto e ricoverata in ospedale. Mi sono sentito impotente, quando ho visto Caterina impigliata nei calcoli di tante burocrazie, dove altre donne l’hanno curata e l’hanno aiutata a restare una mamma. E lei ha potuto restare tale, quasi tornando bambina.
Caterina ha il dono della tenacia.
Caterina è una cittadina che non si è fatta vincere dai catenacci di uno stato erogatore di servizi.
Caterina ha ringraziato, quando a Natale le ho regalato Minny, una pupazzetta che ho comprata per la sua bambina.
Non so se Caterina sia stata disturbata un pochino nell’infanzia della sua vita familiare.
Tuttavia Caterina si presenta per prima sul marciapiede dell’ambulatorio, e mi chiede come sto, appena mi vede arrivare. Il marito canta, suona e fa le fotografie, ma forse non sapremo mai quanto possa comprendere il mistero della relazione, che passa fra la sua donna e la sua bambina, una relazione che resta circondata di immacolatezza, anche se con loro non parliamo mai di religione.
Caterina ha un sorriso diverso, ora che può incontrare e stare un po’ più tempo con la sua bambina. Infatti i suoi occhi si muovono diversamente e il suo sguardo si apre più distesamente sul panorama che Dio le ha donato.
Caterina, la tua fede è la tua tenacia. Ma non chiedere a Dio di spiegarti tutto. Solo ricorda che Lui sa essere più tenace di te nell’amore che ti porta.


Clara e Raffella: Dio nella normalità del quotidiano

Queste due italiane non sono diverse dalle altre, se parliamo del loro bisogno di essere considerate normali come tutte le altre mamme, del loro bisogno di non essere lasciate sole, abbandonate alle solitudini dei loro pensieri, e se parliamo del loro bisogno di non essere lasciate in attesa per giorni e notti intere. Ad attendere qualcosa che pensavano di possedere e che ora sembra perduto. “Figlio, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo” è scritto nel Vangelo della Vergine Maria. Invece del suo sposo castissimo non sono riportate parole di nessun tipo.
Nel suo testamento, una studiosa francese del Medioevo scomparsa nel 1998, ha lasciato parole interessanti. Dice Regine Pernoud: “nel Terzo millennio la sfida principale dovrà essere l’amore ai bambini. Chi potrà pensare ai nostri domani meglio dei più piccoli?”
Ebbene, delle due donne delle quali stiamo parlando, di queste due mamme italiane non diremo né la provenienza, né l’età, né il titolo di studio, né la posizione sociale, né la professione, né le vicende delle loro esistenze, né le condizioni di vita attuali, né i colori che preferiscono, né i gusti che amano, né i profumi che a loro piacciono, e neanche diremo quello che, giustamente, loro vorrebbero che fosse raccontato di loro stesse.
Ma diremo di un breve dialogo che c’è stato un giorno al telefono fra di loro: tema di quel dialogo è stato il corpo di un ragazzo annegato in un lago e per alcuni giorni non ritrovato. Il suo papà in quegli stessi giorni si è rivolto alla Madonna di Caravaggio e l’ha pregata così: “ti prego…fa che lo ritrovino…tu ce l’hai sulle tue ginocchia, tu hai potuto tenerlo sulle tue ginocchia da morto… perché io no?”. Viene in mente la Deposizione, cioè la classica immagine della Pietà raffigurata in innumerevoli opere. Infatti questa vicenda ci ha portati a pensare la figura della Madonna che tiene sulle sue ginocchia il Figlio morto e deposto dalla Croce, quegli istanti in cui Lo tiene fra le braccia e Lo contempla con lo sguardo annebbiato e col cuore a pezzi. E’ l’immagine della Pietà che si imprime in noi, quando riusciamo ad osservare senza scontatezza la Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro.
Così la storia di quel papà che non trova il figlio disperso mi è sembrata un simbolo della miseria che riempie l’esistenza umana su questa terra. E mi è sembrato istruttivo che quelle due mamme parlassero fra di loro di questa storia. Mentre mi chiedevo quale eco potesse avere una tale notizia nel loro cuore, quale custodia potesse trovare in loro una notizia del genere.
Infatti ci sono momenti in cui non trovare qualcuno può essere una cosa pesante, una cosa insostenibile, se si è lasciati soli. Può comportare un crollo totale di tutte le proprie facoltà e del proprio essere persone. Ricordo le immagini televisive, che hanno fatto il giro del mondo, le immagini di quelle ore post-11 settembre, dove si vedono tanti poveri diavoli uomini e donne cercare i propri cari dispersi, mostrando a tutti le loro fotografie come indizio per il ritrovamento.
Allora mi sono venute in mente queste parole a modo di preghiera: una preghiera al Signore Iddio dell’Alleanza:

O Dio dell’Alleanza
non permettere che crolli il centro spirituale del nostro popolo,
non permettere che esso si disperda fra le genti senza più quella luce divina della Tua Elezione,
non permettere che tale dispersione vinca il tuo popolo posto fra le genti senza punti di riferimento,
non permettere che tale dispersione trionfi mai fra le questioni politiche del tuo seme, della tua discendenza nella storia,
non permettere che il tuo seme possa portare frutti diversi da quelli che la Chiesa della Tua Grazia quale Nuovo Israele si attende dalla Tua Elezione. Amen

Raccomanderei alle due mamme che si sono raccontate la storia di quel ragazzo, che ripetano queste parole come una preghiera: la preghiera contro la dispersione del popolo di Dio, non con i sentimenti delle maddalene, ma con gli stessi sentimenti di Dio. Solo così renderanno ben presente Dio nella normalità del loro quotidiano.


Concetta: la meraviglia di un’appartenenza comune alla Chiesa Cattolica

Non c’è nessuno sulla strada principale del paese quel pomeriggio di venerdi 20 settembre ed è una stagione bella calda in provincia di Vibo Valentia. Soli al tavolino di un bar quattro ragazzi giocano a carte, ma non cambiano il clima di pace assolata che ti invade a quall’ora, anche se ti metti all’ombra di un fico. Un cittadino del posto ci informa che l’Associazione apre alle 15, e se la signora Natuzza non sta male, incontra i fedeli presso la sede dell’Associazione.

Siamo qui in forma privata per salutare questa donna, di cui mi ha parlato un’amica. E’ una donna dotata di molteplici doni mistici e visitata da tante presenze dell’aldilà. Ormai da tempo l’aldilà si manifesta a lei nell’aldiqua e nelle forme più diverse. Nel suo paese è conosciuta da tutti e protetta da un velo di discrezione intelligente. La Chiesa nella persona del suo Vescovo la segue favorevolmente, in attesa delle dovute certificazioni della Santa Sede, mentre da lei fruttificano opere documentate dalle pubblicazioni già messe in commercio.

Siamo nell’Italia profonda. Siamo a Paravati e siamo parlano di Natuzza Evolo. Ma di lei non diremo altro. Non diremo del saluto dolce e dell’espressione provata, con cui si è rivolta verso di noi fra i canti e le preghiere che hanno arricchito la celebrazione di una Santa Messa. Non diremo delle parole che ci scambiati con il Direttore dell’Opera il sacerdote don Pasquale Barone.

Ma diremo della meravigliosa accoglienza che si respira in quel paese, dove la nostra attesa è stata allietata da una concittadina di Natuzza, una vecchia signora del posto che ci ha parlato con amore di lei: è Concetta. Anche lei è una figlia ottantenne di una Chiesa ‘esperta di umanità’. Anche lei ha figli e famiglia. Anche lei si è donata a Dio per le mani della Vergine Senza Peccato, la Nostra Mamma Vergine Immacolata.

La troviamo seduta sulla soglia di casa sua, una soglia fatta di pochi gradini che dalla strada portano in una stanza ampia, chiara, segnata dal tempo, ricca di memorie messe in bella mostra alle pareti, quasi a sfidare la storia. Concetta ci invita ad entrare e ci guida all’interno della sua casa, muovendosi a piccoli passi per tutti i malanni che affliggono il suo pesante corpo, che cammina appoggiato alle stampelle.

Concetta ha una parlata che fatichiamo a comprendere, ma i suoi gesti e i movimenti del suo sguardo ci dicono che condivide con noi il piacere di appartenere alla stessa Chiesa: non è poco per i tempi che corrono, questi tempi paganeggianti pieni di idoli. Ma lei è serena e non priva d’affetto: sembra che i suoi figli le vogliono un gran bene, a giudicare da come ne parla.

Questa donna è capace di confezionare meravigliose opere ad uncinetto, dove il filo compone parole che esaltano la Vergine Senza Peccato. Di queste opere, alcune sono esposte in casa, altre sono state confezionate su commissione, ed a lei non restano che i modellini e le foto.

Concetta ci vuole donare alcune squisitezze: melanzane, peperoncini, olive sott’olio. Le mettiamo in un sacchetto e la guardiamo pieni di meraviglia. Com’è possibile che ci sentiamo così familiari con questa donna, di cui non capiamo neanche metà delle parole? Com’è possibile che ci affascini tanto? Notiamo che nel suo incedere sulle stampelle c’è una giovinezza, che ci ricorda la giovinezza dei vecchi preti, quando iniziavano la Messa con le parole del vecchio rito: “introito al altare Dei qui laetificat juventutem meam”, e potevano avere 80, magari 90 anni, ma con queste parole salivano all’altare pieni di gioia, una gioia inattaccabile.

Concetta è un documento di quel mondo, che non ancora scomparso del tutto, ma continua attraverso tante mutazioni: rimane sempre lo stesso, pur essendo sempre diverso. Infatti, il dogma della fede fatto proprio nel tempo attraverso l’esperienza della liturgia è la ricchezza segreta di Concetta, ed è la chiave che le permette di decifrare i codici della modernità e della post-modernità, in cui il popolo sembra disperdersi, ma lei si rallegra. Si rallegra perché i suoi minuti, le sue ore, i suoi giorni appartengono a una memoria capace trasformare la cronaca nella storia del suo popolo. E così lei possiede il senso del suo tempo quotidiano.

E non finisce qui: Concetta sembra fare di tutto il suo tempo un passaporto utile per entrare in un mondo che l’attende. Infatti lei con la sua logica è giunta a concludere che lo stesso mistero, che la respirare qui adesso, la farà pure riposare in Cristo, quando a Dio piacerà. In realtà Concetta sa che Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi, e anche se non può andare dal parrucchiere, Concetta sa che quel giorno sarà bella lo stesso. E piacerà da morire al suo sposo, che l’attende in quel mondo. Intanto la Chiesa custodisce il loro amore, anzi: la fonte del loro continuo innamoramento.


ADRIANA l’esperienza etica di una professionista

Adriana è un Medico della Medicina Fiscale e come noi si confronta ogni giorno coi problemi delle strade e delle automobili, problemi che precedono l’accostamento delle donne e degli uomini che vediamo nelle loro rispettive case. Strade, automobili e case sono tre degli elementi che configurano un territorio impenetrabile alle nostre emozioni, fino a quando non vai al bar con Adriana, non chiacchieri con lei intorno a un tavolo e non scopri che diversi dei suoi problemi sono anche i tuoi.

Ci sono lavori e lavori, e quello di Adriana non è fra i più belli, ma serve a fare un pochino la conoscenza dell’uomo nelle sue diverse circostanze. E magari può servire a portare palpiti di umanità, dove regna la burocrazia. Col tempo le cose possono farsi un pochino più snelle, ma è difficile trovare quel calore umano, che puoi trovare nella Medicina di Famiglia.

Le aziende amano servirsi di noi, perché siamo un ponte fra il mondo della salute e il mondo del lavoro, e tocchiamo problemi di entrambi i mondi. Così ci rendiamo conto che in realtà non si tratta di due mondi, ma dello stesso mondo.

Un italiano, un africano, un peruviano, un cinese e un giapponese sono soddisfatti, se i prodotti delle loro aziende vanno nel mondo, come sono soddisfatti se vengono distribuiti fra di loro, almeno in parte, gli utili delle loro aziende. Questo concetto della divisione degli utili è un concetto, che sta alla base della democrazia partecipativa (vedi Pierluigi Zampetti, La democrazia partecipativa, Ed Rusconi) e vale per le diverse tipologie di aziende: dalla produzione di salamini e caramelle alle produzioni di servizi.

Noi ci meravigliamo sempre, quando troviamo fra i lavoratori sentimenti di fiera appartenenza alla propria azienda, perché crediamo che serva a fare crescere il bene comune. E sappiamo che questa coscienza del bene comune dovrebbe nutrire chiunque operi in qualsiasi settore: se opero bene nel posto dove sono stato messo, io opero per il bene comune. Ma questa coscienza è pure la base dei diritti e delle politiche sociali. Il Cardinale Tettamanzi ha visitato quella che sarà la più grande fiera del mondo, il 6 ottobre 2002 a Rho, ma ha messo in guardia dalle tentazioni della speculazione, ed ha invitato tutti gli operatori a costruire un progresso che sia autenticamente umano. Qui viene in mente Sant’Ambrogio, il quale credeva importante istruire i fedeli a fare ciò che è buono.

Infatti etico è lo stato, quando è aperto a Dio, Sommo Bene nel quale è la fonte di ogni legge, e per il quale è doveroso prestare il proprio servizio onestamente. Per questo Adriana è fiera di svolgere il proprio lavoro, al quale si è preparata con una ventina d’anni di studio ed altre diverse forme di sacrificio. Perciò, se pensa alla propria storia, Adriana è contenta.

E’ stato provvidenziale l’esserci conosciuti ed avere condiviso un pochino delle nostre esperienze proprio qui a Rho, dove Adriana ed io abbiamo prestato servizio fra tante colonne di macchine, citofoni rotti, parcheggi impraticabili, sentimenti di sfida per le lancette dell’orologio, e tanti sguardi interrogativi da parte di coloro che hanno ricevuto le nostre visite.

Di Adriana dovrei dire tante altre cose. Ma se vuole, ve le potrà dire lei.


FATIMA uno sguardo di misericordia nel matrimonio

Ho riflettuto se inserire o non inserire fra questi schizzi le seguenti parole, riguardanti una mia piccola amica, una donna della mia generazione, alla quale è capitata un’esperienza di dolore inimmaginabile. Ne hanno parlato i giornali. Ne hanno parlato, ne abbiamo parlato in tanti.

Qui non interessa raccontare la sua vicenda, quanto piuttosto testimoniare la meraviglia di uno sguardo, un misto di timore e tremore, quando ho incontrato il marito proprio nel momento di quella sofferenza atroce.

A volte si ha paura ad accostare esperienze del genere, perché è come entrare in una stanza buia, dove si sa che c’è qualcuno, ma non si sa chi è, e che cosa vuole. Così sono stato attraversato da un fremito ineffabile di commozione nel primo pomeriggio di quella domenica, all’ingresso dell’Ospedale di Magenta.

Fra gli amici che erano lì presenti, un sacerdote mi disse in poche parole il fatto che era successo. Il mio primo movimento di reazione è stato quello di sentirmi attratto dal marito, ed andargli incontro per abbracciarlo.

Così ho ripensato alle tante volte che io a Fatima siamo stati insieme, con l’entusiasmo dei giovani che vogliono cambiare il mondo, renderlo più giusto ed accogliente. Fra di noi regnava la meraviglia assoluta d’avere conosciuto un’amicizia capace di abitare il mondo e di giudicarlo, senza lasciarsi soltanto giudicare. Subito mi è tornato in mente il volto di Fatima, la sua intelligenza sensibile e sorridente, le cose che abbiamo imparato insieme, tanto da renderci, bene o male, come figli di una stessa famiglia, consapevoli di avere in comune un padre e il suo modo di pensare, oltre che tante cose da fare.

Poi gli anni passano. La vita ti porta lontano. Fai incontri diversi, resti delusa dalle cose in cui credevi, le quali diventano soltanto apparenza. Resti sola a misurare la tua delusione, che si allarga ogni giorno di più. Non ti ricordi chi sei. Non ti piaci più, quando ti guardi allo specchio, specialmente in quello specchio che sono gli occhi degli altri. Le voci di casa, le percepisci tutte rotte. Perfino il respiro si fa pesante. Allora te la prendi con chi ti ama: “mio marito non lo riconosco più”. Mentre è sempre lo stesso: è solo “quel giovine un pò vivo, un po’ testardo, un po’ collerico” come dice don Abbondio di Renzo. Certo, lui ha sempre da riscoprire le promesse che vi siete fatti il giorno del vostro matrimonio, quelle promesse che si rinnovano ogni giorno in ogni Messa del mondo.

Infatti la questione è questa: non dovete partire dai vostri progetti e da quello che scrivete voi con le vostre giornate. Ma dovete partire dal Suo Disegno e da Quello scrive Lui in Cielo. Se fate così allora vi assicuro che la gioia di quel giorno tornerà a portarvi tanti fiori di gioia e tanti frutti di gioia.

Questo ho letto nei tuoi occhi arrossati dalle lacrime, Giampaolo, nel tuo sguardo consolato da una forza che non è la tua, ma l’ho vista nei tuoi occhi. E ci hanno detto che si chiama Misericordia, quella cosa che tira fuori il bene dal male.


IOLANDA ‘body and soul’ nel clima sivigliano

Si dovrebbe tenere tutta l’esistenza dentro un abbraccio, quando la vedi ormai trascorsa in gran parte e vicina a traguardo, ma trascorsa in modo così diverso da come potevi aspettartela, e da come potevi desiderarla. Se questo abbraccio non c’è, certe volte è difficile tirare avanti. La separatezza comprime la tua vita e la rende pesante, troppo pesante. Ma ciò che pesa non è la separatezza dal marito, dal lavoro, dai vantaggi di una posizione, dalle invidie di tanti, dai parenti che non ti capiscono, dal tempo che non torna più, dalla freschezza della pelle del tuo viso. $$$$

Piuttosto ciò che pesa è la separatezza dall’attivismo che non ti ha mai permesso di giudicarti dal fondo di te stessa, perché sei sempre stata piena di cose da fare, sei sempre stata presa a servire un’infinità di gente. E non hai calcolato l’alto rischio di potere restare a mani vuote, e soprattutto col cuore vuoto, dopo che ti è capitato di non avere più niente da fare, mentre rimanevi isolata nella tua sofferenza. In quei momenti sei scesa nel tuo vuoto, ed hai implorato d’essere abbracciata, d’essere compresa in un giudizio …. “giusto”. Giusto vuole dire: capace di darti la soluzione alle domande che ti hanno roso l’anima, capace di spiegarti perché e come si possa restare a mani vuote, dopo una vita passata a fare tantissimo per gli altri. $$$$$

Dunque la separatezza che fa soffrire è la separatezza cui manca tale giudizio, diremmo meglio: tale auto-giudizio sulla propria esperienza. Infatti se qualcuno è capace di giudicarti in quel modo, ti aiuta ad auto-giudicarti sulla base delle tue esigenze più profonde, non falsate dagli interessi nascosti di tutti quelli che ti hanno usata e lasciata nella clausura della tua separatezza. $$$$$$$$$$

Ecco perché si deve imparare a giudicare la propria esperienza non in base a criteri sbagliati, superficiali, parziali, bensì in base al criterio del cuore, cioè delle tue esperienze ed esigenze umane più profonde. Se la giudichi così, ti accorgi che c’è sempre la possibilità di ricominciare, come fa un bambino accolto dalle braccia della mamma. $$$

Ora vivi a Siviglia insieme ai tuoi più cari. Vi dedicate all’esercizio di un ristorante, che di chiama: Maccheroni. Hai saputo di nuovo ricominciare. Stai ricominciando: è ancora un nuovo inizio$$ E mi fai pensare alla storia di un sivigliano, che ha segnato le mie letture più meditate: la storia di un cavaliere che ha fatto della carità la dimostrazione inattaccabile di quella che è la Misericordia di Dio nella vita di una persona, dopo avere attraversato le esperienze più basse del vizio e della passione. $$

La storia di don Miguel Magnara, convertito da una purissima fanciulla e chiamato da Dio a fondare un’opera come l’Hospital de la Caridad, che tutt’oggi esiste a Siviglia, dove ho avuto la commozione di visitarla, è una storia che il mondo non finisce più di guardare, pieno di meraviglia per i modi coi quali Dio opera nella vita di tanti uomini, magari coinvolgendoli ‘corpo e anima’, ‘body and soul’, per dirla con un’espressione della New Age. $$$$$$$$$

Ma si può giungere fino alla morte, senza conoscere per niente questo mistero di Misericordia. E ciò non toglie una virgola alla verità di quella sentenza definitiva, che si dovrebbe scrivere sui muri di tutte le città del mondo: “CHI NON HA DIO QUALE PADRE, NON PUO’ AVERE LA CHIESA QUALE MADRE” $$$

Il clima sivigliano può aiutare a scoprire ogni giorno la verità di questa sentenza! $$$$$$$$$$$$


GIOVANNA chicchi di carità nel deserto della vita metropolitana

Di questa donna colta e brillante, che ho visto una sola volta, nel corso di una piacevole cena in ristorante del centro di Milano, conservo l’impressione profonda di un’italiana impegnata nel mondo cattolico con un bagaglio di conoscenze umane, civili, politiche che renderebbero la sua figura capace di leggere le vicende di uno stato. Senza operare impropri paralleli, viene in mente un’altra Giovanna della storia, agli albori del matrimonio fra l’Europa e le Americhe al tempo della scoperta delle nuove terre. Lei era figlia dei Re Cattolici, e resta sempre di grande attualità, come dimostra un recente lavoro cinematografico che ne racconta la vita.

D’altra parte, nella nostra civiltà post-moderna e metropolitana il villaggio globale non permette di appartenere a un popolo, senza farsi carico dei diritti di altri popoli, in particolare dei più deboli, come prevedono le mutue relazioni della carità.

E’stato scritto con chiarezza nella Lettera papale Populorum Progressio: “ostinandosi nella loro avarizia i ricchi non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri con conseguenze imprevedibili”. E onestamente fra l’Opus Dei, il Vaticano e la Masoneria, non credo che si possa attribuire a quest’ultima il primato dell’interessamento ai popoli più poveri.

Giovanna è affascinata da un martire della carità, già ufficiale dell’esercito francese, il quale lasciò tutto per vivere da eremita nel deserto africano: ha generato tantissime figlie e figli spirituali, i quali cercano di sfruttare le tecnologie mediatiche e raccogliersi in un sito web allo scopo di rendere nota al mondo la figura del loro padre Charles De Foucauld. Questo eremita è un dono prezioso di Dio alla nostra società, pur restando agli occhi del mondo solo “un chicco di grano”. “Un chicco di grano” appunto è il titolo di un opuscolo a lui dedicato e pubblicato dalle Edizione Paoline.

Ho chiesto a Giovanna perché si interessa di questa figura. Non è facile rispondere. Aldilà delle parole, c’è la fecondità di un seme, che non cessa di generare figli e figlie in tanti Paesi del mondo. Qui da noi non si può dire che sia conosciuto, come può essere conosciuto un altro campione della carità come don Carlo Gnocchi, prete ambrosiano e imprenditore della carità, ma amche acuro pensatore del mistero della sofferenza, e financo di quel mistero dei misteri che è la sofferenza innocente. Lui lo abbracciò e lo servì nei suoi mutilatini, come si serve Cristo.

Sempre in materia di carità, non è molto conosciuto neppure un Aelredo di Rievaulx, monaco medioevale, che alla carità ha dedicato la sua opera più bella: “Speculum caritatis”, cioè “Lo specchio della carità” giunta al grande pubblico grazie al suo studioso e tradutore don Domenico Pezzini, ma ancora dei tutto ignorata dai network televisivi del mondo.

Della carità si è parlato anche ad un Seminario organizzato dalla Caritas Ambrosiana nel 2001 dal titolo: “Volti diversi della cronicità” con i contributi di operatori interessati: sono come chicchi di grano nel deserto della nostra epoca post-moderna e metropolitana.

Non posso dimenticare che della carità ho potuto parlare diverse volte con una figura di Vescovo, per il quale ho pianto il 14 novembre 2002, appena giunta la notizia della sua morte, e al quale ho dedicato una lettera indirizzata al Dr Dino Boffo, Direttore del quotidiano cattolico Avvenire, e a tutti gli amici: sto parlando di Sua Eccellenza Mons.Bernardo Citterio.

Con Giovanna è stato un piacere dirsi: ciao. Ma è stato un ciao capace di contenere la promessa, che le cose che abbiamo condiviso in quella cena, restino sempre in comune fra di noi e si diffondano, per potere essere messe in comune con tutti i cuori, i quali battono per il bene dell’umanità. Di tutta l’umanità.


MARIANGELA con la gioia dei bambini al teatro di Pinocchio

Di Mariangela conservo un ricordo indelebile. Un giorno mi trovavo ad Arese per una visita domiciliare e, mentre attraverso le stradine di un bel residence, vedo da lontano delinearsi la figura di una signora dall’aria elegante. Dopo qualche passo, i nostri sguardi si incrociano, e la riconosco: è proprio Mariangela, la mamma di suor Cristina, con la quale condivido un’amicizia ventennale, e che cerco di seguire attraverso le vicende della sua travagliata vocazione religiosa.

Mariangela è Ministro Straordinario dell’Eucaristia e svolge questo compito nella più profonda comunione con tutta la Chiesa. Se non fosse così, non sarebbe assicurato il valore della sua missione.

Si comprende che in questo vincolo madre-figlia sta tutto il valore della loro relazione, la quale è una continua generazione di Cristo nel mondo: è la continuazione di un Natale permanente ed è l’offerta fatta a tutte le sorelle e i fratelli dei nostri tempi.

Il travaglio che Mariangela ha conosciuto la sera in cui è venuta alla luce Cristina il 25 dicembre 1965, in un certo senso lo sta continuando a conoscere. Ed è una progressiva penetrazione nel Mistero di Dio, che Cristo è venuto a portare 2000 anni fa. Ma loro oggi possono dire che non si tratta di un Dio retorico, riducibile alle parole dei preti e alle definizioni teologiche e dogmatiche. Invece è un Dio che opera per edificare la Chiesa di tutti i popoli, quella Chiesa resa pubblica da Cristo per tutti i popoli di ogni stato. E da Lui amata per sempre.

Mariangela ha dato alla luce Aurora il 1963, Pietro il 1964, Fabrizio il 1967, Riccardo il 1969, ma se pensa alle storie dei suoi ragazzi, credo che le può ritrovare comprese e contenute nella vita di Cristina. Tuttavia, la vocazione di questa mia piccola amica è stata travagliata, perché Dio l’ha tolta dagli studi per metterla sulla strada che don Carlo le ha ordinato di battere. Poi l’ha tolta dal giornalino in cui lavorava. In seguito l’ha tolta dalla scuola in cui insegnava.

Non è possibile dimenticare quello che è riuscita a fare insieme a diverse colleghe con i bambini, che aveva nella scuola di Sant’Agata Bolognese. Al termine di un anno scolastico, sono riuscite a mettere in scena un’edizione della storia di Pinocchio tale da far invidia alle attrici e agli attori più consumati. All’avvenimento partecipò lo stesso Cardinale Biffi, il quale è un devoto di Pinocchio fin da tempi in cui suo padre glie ne donò una copia tutta per lui. E lui cominciò ad apprezzare l’infinita ricchezza dei valori propri di quest’opera. Nel teatro che ci ospitava, il Cardinale si fermò a salutare chi lo desiderasse. Così ebbi la grazia e la gioia di scambiare qualche parola con lui e non mi trattenni dal desiderio di dargli una carezza. E glie l’ho data con una commozione che non potrò dimenticare.

A distanza di qualche anno, è bello scoprire che ci sono fior di imprenditori dedicati ad operazioni di marketing per il consolidamento dei valori di un’opera, che non ha paragoni in tutta la letteratura mondiale: la favola di Pinocchio sta rivivendo una nuova stagione di consensi e non sembra destinata a morire.

Al termine della rappresentazione, Mariangela, Dino (suo marito) ed io, siamo tornati a casa col cuore pieno del fatto successo. E ci siamo ricordati che una volta siamo stati insieme a Roma per la laurea di Cristina, e siamo stati alle tombe dei Papi raccolte intorno al sacello del Principe degli Apostoli. Lì abbiamo sentito un fedele americano esclamare tutta la sua meraviglia di trovarsi sul posto dove sono custodite le prove del primato del papa quale presidente della carità di tutte le chiese, “in quibus et ex quibus” lui è segno visibile e perpetuo di comunione, dice il testo. Ci siamo goduti quei momenti destinati ad assicurare per sempre il valore della nostra amicizia.

Ma il ricordo più indelebile che mi hai lasciato, Mariangela è il ricordo di quella mattina invernale, in cui portavi la Comunione come Ministra Straordinaria dell’Eucaristia, e durante il nostro breve dialogo ti ho vista piangere, mentre mi confessavi una cosa, che non mi è suonata nuova: “la chiesa – mi dicevi con la voce rotta dalla commozione – è davvero capace di fare i suoi santi…”. Si Mariangela, se li è fatti e continua a farseli pure oggi, all’aurora del terzo millennio cristiano, dopo il secolo del più gran numero di martiri che si possano conoscere. Ma a noi tocca rimanere aperti e ricevere con passione l’invito di colui che la storia può chiamare Giovanni Paolo Magno, il quale è venuto a dirci: duc in altum…prendi il largo, umanità del nuovo millennio cristiano!


MARIAPAOLA allenati all’etica professionale

“Se cerchi qualcosa di speciale non andare da Mariapaola, perché potresti rimanere deluso”, mi aveva detto una persona.
Mariapaola è un Medico della Medicina Generale della nostra Azienda, e come tale è costretta a fare un lavoro strano. Lo chiamano Medico di Base, Medico della Mutua, Medico di Famiglia. Oggi rischia di non essere altro che una forma di impiego statale, regolato dalle leggi vigenti, filtrate da accordi aziendali e accordi regionali, nonchè da periodiche riforme ministeriali rilette alla luce dei mercati in continua mutazione.

Sta di fatto che la sua erogazione pubblica come quella del prete in chiesa, è gratuita per tutti. Sta di fatto che essa rappresenta una palestra, dove ci si allena a conoscere la natura umana nelle sue condizioni più diverse. E ciò abilita a formulare giudizi con cognizione di causa.

D’altra parte, il più delle volte, l’operatore impegnato in questo tipo di servizio non può risolvere i problemi che gli vengono messi davanti, né può dare risposte esaurienti, né indirizzi sicuri. Quasi sempre si limita ad ascoltare e a scrivere, rinviando gli approfondimenti ad una lettura, magari ad una chiacchierata con altri colleghi più esperti. Ma sempre è chiamato a riflettere senza minimizzare e senza evitare di fare i conti con i mezzi messi a disposizione. Mai può permettersi di fare da solo.

In realtà, sembra che in questo Servizio si articoli l’azione connettiva di quello che in Italia viene chiamato Ministero della Salute, la quale misura un certo tipo di civiltà, che si basa su un certo tipo di concezione: è la concezione dell’uomo come unità di corpo e di anima. Ecco qual è il punto fondamentale. Per intendere le ragioni per cui questo punto è diventato oggetto di riflessioni non sempre pacate, basti ricordare che un giornale economico ha messo in luce la stessa cosa, quando ha recensito l’opera di un medico, che offre un approccio alla medicina, capace di fondarsi su una visione integrale dell’uomo (vedi Il Sole 24 Ore su Giancarlo Cesana, Il Ministero della Salute).

Certamente oggi non è sempre facile realizzare questo tipo di concezione, ma è quello che cerca di fare la bioetica in tutto il mondo. Anche se sembra di fare il gioco di quel movimento spiritualistico mondiale che si usa definire New Age, e che sembra possedere il suo motto nell’espressione americana “body and soul”.

Devo dire che è stato proprio nello studio di questo collega Medico di Medicina Generale, che ho trovato una raccomandazione dell’ONU, la quale diceva: “Entro il 2010 tutte le persone avranno accesso per tutto il periodo della vita ad una assistenza globale e di qualità, compresi i servizi materno-infantili”. Allora cominciai a riflettere su queste parole e cominciai a farle mie, perché pensai che potessero interessare il nostro lavoro. Ed è questo il motivo per il quale qui non ho parlato di Mariapaola, la quale è una signora minuta e una professionista dai tratti gentili, una donna seria. Ma ho parlato del lavoro che lei ama fare, nonostante tutto.